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GIUGNO 2021 PAG. 32 - Adsp fagocitano porti minori a spese della loro dinamicità

 

 

Vito Totorizzo conosce entrambi i lati della barricata. Da Segretario Generale dell’allora Autorità portuale di Bari a imprenditore di successo con Spamat in una realtà come lo stesso scalo del capoluogo pugliese e a Molfetta, ha maturato una profonda esperienza sull’evoluzione del settore. E non concede sconti sulla recente riorganizzazione della portualità italiana imposta dalla riforma Delrio. «Le AdSP stanno progressivamente fagocitando i porti minori e rischiano di mettere a repentaglio la naturale dinamicità di questi ultimi».

Cosa non le piace dell’attuale assetto della governance portuale?

Prendiamo come esempio il sistema dell’Adriatico meridionale. Come può essere efficace l’azione di gestione di un fronte che copre circa 300 chilometri di costa, con porti così distanti tra di loro? A differenza di operazione come Genova e Savona o Napoli e Salerno che hanno una certa logica, in Puglia è stato compiuto un errore enorme. Considerando i tratti comuni tra Brindisi e Taranto avrebbe avuto molto più senso creare un sistema dell’adriatico meridionale e uno salentino-ionico, più snelli e semplici da gestire.

Piccolo è più bello?

In tutti questi anni di attività imprenditoriale sono giunto ad una conclusione. I cosiddetti porti minori presentano le migliori condizioni per poter fare impresa. Certo sono realtà in cui mancano i fondali ma non è detto che tutti dobbiamo operare su navi da 24mila Teu. Le attività di banchina, con tutta la loro varietà, sono favorite da un assetto burocratico molto più semplice. C’è tutto un sistema di scali italiani, da Riposto a Torre Annunziata, solo per citarne alcuni, che andrebbero valorizzati con opportune strategie regionali.

Quella che ha cercato di attivare a Molfetta?

E per la quale non ho ricevuto risposta. Eppure il piano che abbiamo presentato, con la piena adesione di RFI, andrebbe a beneficio di tutto il traffico regionale. In breve, sfruttando la vicinanza, circa 600 metri, con la linea ferroviaria adriatica, potremmo instradare su ferro gran parte delle merci con la realizzazione di un terminal da otto binari in grado di organizzare quei convogli da 750 metri che costituiscono il famoso standard europeo.  

E invece?

Prevalgono progetti vecchi, come la camionale prevista per il porto di Bari, o le nuove promesse fatte in nome della sostenibilità. Penso al cold ironing, argomento di gran moda ma su cui permangono grandi perplessità a livello operativo: la mancanza di standard unitari per servire le navi, o i grandi costi infrastrutturali per portare l’elettricità sulle banchine. Sono cose su cui si riflette poco. Senza contare l’entusiasmo per le fonti alternative come il GNL o, addirittura, ammoniaca o idrogeno. La verità è che su questi temi strategici manca una visione comune. Sono anni in cui ogni porto ambisce a coprire ogni tipo di traffico, perdendo le sue peculiarità originarie. In Italia manca una politica del mare. Di questo passo nemmeno un ministero dedicato potrà porre rimedio ad una mancanza di strategia che è più profonda.

Eppure con la sua azienda continua ad investire in nuovi mezzi…

Al cuore dell’imprenditoria portuale c’è la necessità di riuscire ad anticipare e soddisfare le esigenze della clientela. Quando per la mia attività investo energie e risorse per dotarmi di nuove gru sto semplicemente facendo la mia parte. E’ così che siamo riusciti a rendere attrattivo e conveniente il porto di Bari per il project cargo che curiamo per General Electric. Il lavoro bisogna andare a cercarselo. Con qualche semplificazione in più e una reale volontà di coordinare gli sforzi di tutti sarebbe tutto molto più facile.

G.G.

 

 

 

 

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