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APRILE 2021 PAG. 14 - Il Mare Nostrum e l’evoluzione della shipping industry

 

 

Raramente ci ricordiamo che quasi tutto quello che abbiamo e che vediamo ha utilizzato la via marittima.


Le navi sono il primo fondamentale anello della catena logistica, protagoniste di un’infrastruttura mobile, silenziosa e amica dell’ambiente, che genera economia creando posti di lavoro a bordo e a terra.
Nell’attuale contesto geopolitico - con una rinnovata attenzione alle vicende del Mare Nostrum dopo anni di apparente sottovalutazione - risorge l’importanza delle vie marittime e delle compagnie di navigazione che da sole muovono il 90% del commercio mondiale. Lo shipping è lo specchio della globalizzazione, capace di mettere in rete le economie e i mercati globali. 


Come è noto il Mediterraneo ospita il 25% delle linee di comunicazione marittime mondiali e il 65% del trasporto di energia europeo nonostante sia meno dell’1% dell’intera superficie marittima mondiale. Il Mare Nostrum sta assistendo all’evoluzione della shipping industry che collauda e mette in mare navi sempre più imponenti (dalle porta container ai sistemi per il trasporto di LNG) che necessitano di tecnologie potenziate, anche al fine di far fronte alle principali rotte di scambio (Nuovo Canale di Suez e Cina).


La crescita degli scambi commerciali e l’evoluzione del contesto geopolitico ci hanno condotto verso il concetto di “Mediterraneo Allargato”, poiché serviva individuare, politicamente, un’area vasta per il perseguimento e la tutela degli interessi nazionali.
Un concetto geostrategico che incontra complessità e criticità legate alla sua estensione: crisi e instabilità politica, flussi migratori, aumento dei traffici illeciti di stupefacenti, pirateria e terrorismo.
In un mondo che da un lato abbatte i confini e dall’altro li rinforza, gli “attori del Mare” si trovano spesso schiacciati da questa doppia visione. Oggi si è più portati a parlare di Mediterraneo come “MEDIOCEANO”, in una visione che vede il globo come un “Oceano Mondo”. Tale approccio permette di sposare una visione strategico-politica che faccia del nostro mare un corridoio e passaggio obbligato tra Indo-Pacifico e Atlantico. 


Purtroppo, fino ad oggi non siamo ancora riusciti a sviluppare una politica marittima realmente efficace perché l’Italia continua a dimostrarsi incapace di una pianificazione di lungo termine: è la cosiddetta “sea blindness”, dovuta anche alla frammentazione amministrativa che stiamo subendo.
Infatti, con l’abolizione del Ministero della Marina Mercantile nel 1993 e lo smembramento delle competenze sul settore, è divenuto impossibile elaborare una politica nazionale con una cabina di regia unica. Tale frammentazione affligge oggi l’intero spettro dei protagonisti del mare.
Siamo schiacciati dalla concorrenza tra l’incessante crescita dei porti della sponda meridionale del Mediterraneo e quelli nel Northern Range, lo sviluppo delle strategie verso la Cina e gli Stati Uniti, per non parlare della cantieristica navale, nella quale cerchiamo di mantenere con fatica un primato nel comparto crocieristico.


È giunto il momento di risvegliare la cultura marittima del Paese, dando nuova importanza alla sua dimensione marittima, anche portando l’attenzione del dibattito pubblico sulle opportunità offerte dal mare per la stabilità, la sicurezza e il benessere nazionale.
Il Comitato Interministeriale per la transizione ecologica, istituito dal Governo Draghi, potrebbe rappresentare una svolta importante per restituire all’economia del mare un’unica sede politico-amministrativa di riferimento, volta alla creazione di una catena di comando orientata al raggiungimento di una pianificazione finalmente strutturale. 


Le sfide che ci attendono sono tante.
Una delle principali per il comparto armatoriale è certamente quella dell’estensione alle altre bandiere comunitarie dei benefici derivanti dal Registro internazionale italiano e della tonnage tax. Una richiesta sopraggiunta dalla Commissione che non potrà che essere inquadrata in un’ottica di salvaguardia degli interessi nazionali. 


Non dobbiamo dimenticare che la competizione nel nostro settore si gioca per lo più sui costi di costruzione e di gestione delle navi, che dipendono dall’ordinamento normativo nazionale. Dal 1998, grazie al Registro Internazionale la flotta italiana è tornata a crescere e con essa l’occupazione dei marittimi.


Lo dico con chiarezza: non possiamo permetterci di rinunciare ai risultati raggiunti grazie a vent’anni di politica marittima centrati sul Registro Internazionale ed è impossibile immaginare di mettere a rischio e depotenziare l’industria marittima nazionale! Metteremmo in crisi un settore vivo, strategico e determinante per l’auspicata ripartenza del Paese.

Luca Sisto
Direttore Generale di Confitarma

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