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FEBBRAIO 2021 PAG. 64 - LIBRI


 

Finanza e potere lungo le Nuove Vie della Seta. A. Amighini, Bocconi Editore.

“Nel 2014, anno inaugurale della BRI, il processo di internazionalizzazione del renminbi era già in pieno corso da almeno cinque anni, se consideriamo il 2009 la data di inizio del suo utilizzo come valuta nelle transazioni commerciali internazionali. La BRI e l’internazionalizzazione del renminbi sono entrambe strategie promosse dalla Cina nel XXI secolo per aumentare la propria integrazione nell’economia mondiale, ma sono nate in tempi diversi e con finalità parallele, seppur complementari. Tuttavia, vi è una grande sinergia tra di loro”. A questa particolare interazione è dedicato il volume della Amighini, il cui obiettivo è far luce sul “pilastro finanziario” della BRI, aspetto fin qui poco indagato nel dibattito accademico. Oltre allo sviluppo delle infrastrutture di trasporto, del commercio e della comunicazione (anzi, proprio in virtù di questi obiettivi) la BRI può essere considerato il cuore del processo di internazionalizzazione delle Cina, lo strumento attraverso cui perseguire la cooperazione finanziaria col resto del mondo. La finanza – questa la tesi di fondo – è anzi la vera linfa dell’Iniziativa, la parte più innovativa e dirompente nei suoi aspetti operativi, istituzionali e politici. Attraverso una rete di centri finanziari offshore sparsi nei continenti, le banche e le borse cinesi sono sempre più collegate con l’estero, pur rimanendo all’interno di un sistema finanziario protetto dai controlli sui flussi internazionali di capitale, da un regime di fluttuazione controllata del tasso di cambio e da un settore creditizio di proprietà pubblica. La rete funziona come un sistema di vasi comunicanti che spinge oltre confine la circolazione del renminbi e la “moneta del popolo” diventa strumento di una globalizzazione “al contrario”: non è la Cina ad aprire il proprio settore finanziario agli altri paesi, ma questi ultimi ad accogliere una crescente presenza cinese sui mercati internazionali. Lungo la BRI la finanza scorre fluida e con essa il soft power con cui la Cina sta imprimendo un nuovo corso alla globalizzazione.

Declino Italia. A. Capussela, Einaudi.

“Quali sono dunque le cause del declino? La risposta di questo libro è duplice. L’Italia è in declino perché è organizzata in modo iniquo e inefficiente, e perché non si è mai veramente posta quella domanda. La prima risposta può suonare ovvia, la seconda sbagliata. Perché politici, commentatori e cittadini dibattono incessantemente del malessere della società, e dei possibili rimedi. Si parla meno delle cause, però, e quando ciò avviene la discussione tende a essere dominata da tesi che accusano cause esterne, come i migranti, l’euro, Bruxelles, la globalizzazione. Tranne la prima, ciascuna di queste spiegazioni ha un fondamento. Ma se è vero che l’Italia è organizzata in modo iniquo e inefficiente, parlare solo di esse equivale a rimuovere la domanda di fondo. L’abbiamo rimossa perché quando s’intuisce che le radici del problema sono profonde fare i conti con la realtà è difficile. Certo, svariate minoranze ricavano vantaggi dallo stato attuale delle cose, e la loro influenza ostacola il dibattito: ma se anche l’opinione pubblica volesse discutere le cause del declino, per finalmente invertirlo, l’intuizione che qualcosa non funziona nell’organizzazione del Paese non basterebbe. Servirebbero diagnosi capaci di spiegare entrambi i problemi maggiori, ossia la stagnazione dell’economia e la sfiducia nella politica”. Questo libro tenta una lettura unitaria delle cause economiche e politiche del declino dell’Italia, che dura da un quarto di secolo. La tesi di fondo è che il Paese è organizzato in modo meno equo ed efficiente dei suoi pari: la supremazia della legge e la responsabilità politica sono piú deboli, in particolare, e ciò comprime sia la produttività delle imprese sia le opportunità dei cittadini. Il senso di questo equilibrio politico-economico è la difesa della rendita, e la sua forza è la tensione tra la razionalità individuale e l’interesse collettivo. Questa logica è ferrea ma reversibile. Una battaglia di idee può scardinarla, liberando energie civili e risorse materiali ora sperperate, e avviare il rilancio.


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