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DICEMBRE 2020 PAG.30 - Monti: manca un piano industriale sullo shipping


 

Nel secondo libro cui sta lavorando Pasqualino Monti racconterà quanto ha imparato in questi anni siciliani. «Un’esperienza bellissima, portata avanti con una squadra di grandi eccellenze che sono spesso tornati a lavorare nella loro terra, per dare un contributo alla sua crescita» tiene a sottolineare il presidente dell’AdSP del Mare di Sicilia Occidentale. «Uno sforzo comune che però è rallentato quando non intralciato dal male tutto italiano dell’insipienza e dell’apatia che circonda chi vuole fare la differenza. Purtroppo stiamo alimentando un meccanismo perverso che reputa virtuoso il “non fare”, non premia il merito, in un appiattimento di aspettative e falsi problemi che sta affondando tutto il Paese». 


Come si è palesata questa negatività nella sua attività quotidiana alla guida dell’AdSP?    
Le faccio un esempio di uno tra i tanti meccanismi demenziali con cui si governa questo Paese. Ho ereditato quattro scali, alcuni dei quali per la prima volta gestiti da un ente portuale, che necessitavano come primo intervento dei dragaggi. Ora, è già assurdo non poter disporre di una legge che permette la manutenzione dei fondali portuali paragonabile a quella degli altri paesi europei, ma al danno siamo capaci di aggiungere anche la beffa. A Trapani, dove stiamo procedendo con l’iter burocratico previsto, le caratterizzazioni effettuate, la cui validità dura cinque anni, dovranno essere rifatte poiché le autorizzazioni relative sono arrivate sette anni dopo. Uno spreco di risorse pubbliche che potevano essere destinate ad altri interventi. 


Cosa determina questo stato di cose?
È come se ci fossimo dimenticati che un Paese come l’Italia, votato all’export, povero di materie prime, ha bisogno innanzitutto dei suoi porti per essere competitivo. Il mare non fa parte dell’agenda politica. Certo vengono stanziate risorse, con la struttura tecnica di missione del ministero si sta provando a mettere su una cabina di regia efficace, ma sulla “macchina porto” si ragiona poco, anche perché manca un piano industriale su attività marittime e intermodalità, essenziale per disegnare il nostro futuro. A livello più generale, poi, bisognerebbe cominciare a ragionare non solo più in termini di repressione: non si è ladri fin quando non si ruba. Questo atteggiamento alimenta tutta la cattiva burocrazia che ci impedisce di andare avanti in modo rapido ed efficiente. 


Come se non bastasse su tutto il sistema pende la spada di Damocle delle richieste europee…     
Personalmente non sono per le battaglie di retroguardia. Trovo giusta la posizione delle autorità italiane nel difendere il nostro modello basato sull’ente portuale non economico: dopo tre anni di chiarimenti e il pronunciamento della Commissione non ci resta che appellarci alla Corte di Giustizia europea. Allo stesso tempo, però, bisognerebbe fare un ragionamento più ampio su finalità e organizzazione delle nostre autorità portuali. Finora l’attuale modello ha fatto comodo al MEF: ha preso gli introiti dei porti, considerandoli una sorta di filiali delle direzioni generali dei ministeri. Ma gli scali non possono essere guidati in modo burocratico, hanno bisogno di mettere in campo strategie precise rispetto ai mercati mondiali. Un primo passo potrebbe essere l’uscita dall’elenco della AdSP dall’elenco Istat. Non possiamo essere soggetti a limitazioni ministeriali, siamo un elemento del mercato. 


Si sta riscoprendo ammiratore delle SPA?
Non ho nessuna preclusione sulle formule. Riguardo alla società per azioni, ad esempio, basterebbe capitalizzare le aziende sfruttando un vincolo di inalienabilità del demanio. Ma non è questo il punto. Andrebbe preso atto, semplicemente, che le autorità sono enti speciali. È un’impostazione che ho portata avanti durante la presidenza di Assoporti. C’è una peculiarità delle attività portuali espressa attraverso la legge 84/94. Muoversi in questa direzione spezzerebbe certe catene: in materia infrastrutturale si potrebbe operare senza andare in deroga di legge, così come si potrebbero sfruttare la parte speciale del Codice Appalti.


A proposito di Assoporti, è da escludere il rientro all’interno dell’associazione?  
Niente affatto. Sono convinto che le posizioni dei vari presidenti di AdSP siano essenziali: siamo soldati impiegati sul fronte principale per lo sviluppo del Paese. Proprio per questo bisogna avere il coraggio di discutere francamente sulle cose da fare. Il compianto Francesco Nerli, con cui ho avuto anche grandi divergenze, quando si trattava di battere i pugni sul tavolo per difendere i porti lo faceva, anche contro i ministri della sua stessa parte politica. Ecco, se ci sono le condizioni per discutere dell’orientamento della nostra portualità, ci sono. Altrimenti continuerò ad essere un free-lance.  


Cosa si aspetta dal recente accordo chiuso con Fincantieri?
Abbiamo chiuso tutta la filiera delle attività crocieristiche, settore su cui puntiamo molto una volta superata la crisi causata dalla pandemia, mettendo finalmente a disposizione dell’attività turistica tutti i tipi di servizi. Quando sono arrivato in Sicilia lo stabilimento produceva solo tronconi e registrava circa 700 ingressi di lavoratori al giorno. L’obiettivo, grazie alla concessione fino al 2057, è arrivare dagli attuali 3mila a circa 7mila con la costruzione intera delle navi. Si è trattato di un impegno portato avanti nell’ultimo anno e mezzo per mettere l’azienda nelle migliori condizioni per operare. Abbiamo sgombrato il bacino industriale da pontili e microconcessioni non attinenti, realizzato la colmata, messo a disposizione 25mila metri quadri di nuove aree, adeguato il bacino grazie ad un finanziamento di 120 milioni di euro dal fondo centrale infrastrutture. Nel 2024 contiamo di completare anche il secondo bacino da 150mila tonnellate. Insieme a tutte le infrastrutture di accoglienza e servizi le crociere contribuiranno in questo modo a rilanciare anche il settore industriale impegnato nell’indotto in una visiona più ampia di “industri portuale”. 


Quali sono gli obiettivi per il futuro?       
Stiamo ancora chiudendo i conti con un 2020 certamente complicato dalla pandemia, soprattutto nel settore passeggeri, ma anche positivo sotto altri versi. Il numero dei cantieri aperti è aumentato, segno che gli interventi programmati vanno avanti mentre il traffico ro-ro è cresciuto inaspettatamente del 20%, grazie al raddoppio di alcune tratte e all’apertura di nuove. Superata la crisi sanitaria entreranno a regime gli accordi siglati nel 2019 con MSC Crociere e Costa Crociere che dovrebbero portare circa 1,5 milioni di passeggeri. Inoltre, continueremo il lavoro impostato per aumentare le connessioni con il Nord Africa, area tra le più promettenti del Mediterraneo. Sotto questo aspetto abbiamo raddoppiato le rotte per la Tunisia mentre stiamo studiando la possibilità di incrementare i traffici con l’Algeria triangolando gli storici collegamenti tra questo Paese e il porto di Marsiglia. C’è ancora molto da fare ma ho a disposizione una squadra di professionisti eccellenti per centrare tutti gli obiettivi.
G.G.

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