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DICEMBRE 2020 PAG. 50 - ZES e ZLS: è urgente un “cambio di passo”




 

Le Zone Economiche Speciali (ZES) da decenni hanno raggiunto un grado evolutivo che le ha proiettate in una fase storica in cui, accanto ad un’accezione esclusivamente economica e commerciale, si configurano in molteplici modelli in cui abbandonano la mera dimensione economica per acquisire anche quella geopolitica. Come ha affermato P. Khanna “Oggi non è l’ideologia, ma la promessa di accesso privilegiato a risorse e infrastrutture a plasmare l’azione geostrategica”.


La proliferazione di tali strumenti soprattutto dopo il 2000, si collega anche al consolidamento di strategie di espansione geopolitica attraverso casi di penetrazione geoeconomica, condotte da alcuni Paesi con programmi di creazione di ZES c.d.”overseas”. Ad esempio rientrano in tale categoria: la dozzina di parchi industriali singaporiani realizzati alla fine degli anni ‘90 del secolo scorso in Indonesia, Vietnam e Cina da società collegate al governo di Singapore; il programma Overseas Economic and Trade Cooperation Zones del 2006, in base al quale, attualmente, lungo la Belt and Road Initiative (BRI) risultano operative venti ZES, di cui due sono, all’interno dell’area UE, in Ungheria; l’accordo concluso dal Giappone nel 2014 finalizzato alla creazione di dodici “Japan Industrial Townships” in India per catalizzarvi gli investimenti di PMI giapponesi; l’accordo sottoscritto dalla Federazione Russa con il governo egiziano nel 2018, finalizzato alla realizzazione di una Zona Industriale Russa nella Suez Canal Economic Zone.


Da tale breve disamina internazionale si evince l’assunto che continuare a dotarsi di ZES non efficienti, né dal punto di vista della forma di governance prescelta né da quello della concretezza in termini di appeal da parte delle misure agevolative e dei benefici offerti ai potenziali investitori, contribuisce a non garantire un’adeguata difesa del Sistema Paese da iniziative di competitors aggressivi e in continua espansione. 


La necessità di elevare l’attenzione con riferimento a possibili penetrazioni estere in settori economici nevralgici nazionali è un tema che presenta vari profili di attualità.
Nella “Relazione sulla tutela degli asset strategici nazionali nei settori bancario e assicurativo” approvata dal COPASIR il 5 novembre 2020, sono analizzati possibili scenari di esposizione del Sistema Paese a rischi di speculazioni internazionali, in relazione a determinate operazioni di acquisizione di comparti finanziari essenziali nazionali da parte di soggetti esteri.
Sebbene il contenuto della Relazione riguardi i settori bancari e assicurativi, ciò non impedisce di allargare il discorso al più generale argomento dell’aumento del rischio, a causa delle conseguenze economiche determinate dal COVID-19, di penetrazioni da parte di soggetti esteri all’interno del sistema economico nazionale, in maniera tale da pregiudicare l’indipendenza, rispetto a Paesi stranieri, di ulteriori settori economici, produttivi e finanziari delicati per la salvaguardia della stabilità politica ed economica dell’Italia.


Infatti l’innalzamento del livello di cautela è conforme alle preoccupazioni indicate nella Relazione, “in ordine a possibili strategie di penetrazione di operatori di nazionalità straniera nell’ambito di settori di rilevanza strategica per la sicurezza del Paese (telecomunicazioni, aerospazio, industria della difesa, energia), tali da meritare la prosecuzione di una specifica attività di approfondimento, analogamente a quella effettuata nei confronti del settore bancario, finanziario ed assicurativo”.
Parallelamente emergono, come effetto della pandemia, anche riassetti e nuovi equilibri a livello globale, che corrispondono a quanto percepito nella Relazione, con riferimento ad alcune rilevanti conseguenze che si stanno verificando “sia sulle gerarchie del sistema politico internazionale, sia sulle interdipendenze tra nazioni (con i relativi assetti), nonché sulla stessa struttura del sistema produttivo capitalistico, con uno spostamento sempre più marcato dal mondo della manifattura industriale a quello del digitale, che genera da un lato crisi produttive e industriali e dall’altro un’impennata dei profitti e della liquidità disponibile per i giganti del web”.


In questa fase di incertezza economica, a rendere meno vulnerabile sotto il profilo descritto il sistema economico nazionale, unitamente all’iniezione di liquidità con le misure del Recovery Fund, potrebbe senz’altro contribuire una decisa strategia governativa di miglioramento dell’efficacia e della competitività delle ZES e delle Zone Logistiche Semplificate (ZLS), che in Italia, per scelte legislative discutibili, ancora stentano un effettivo decollo ad oltre tre anni dal varo della normativa di riferimento, sinora soggetta ad un continuo aggiornamento che peraltro nuoce alla sua adeguata intelligibilità.
Proprio la mancanza di una legge organica dedicata a tali strumenti e, di contro, un’eccessiva ed incongrua frammentazione di “novelle” (l’ultima delle quali, introdotta nel “Decreto Semplificazioni” approvato nel luglio 2020) di vario rango rispetto alle previsioni normative contenute nei testi legislativi “omnibus” del 2017, hanno determinato uno stato di precarietà normativa “permanente”, con conseguente generazione di una situazione di confusione ed incertezza operativa sia negli enti territoriali tenuti all’iniziativa di richiesta di istituzione delle ZES  e delle ZLS, e della redazione dei Piani di sviluppo strategico, sia negli investitori, impossibilitati ad avere una chiara definizione ex ante dello scenario regolamentare ed operativo nel quale si accingono ad investire le proprie risorse economiche. 


Ugualmente qualche perplessità scaturisce dalla nuova composizione dei Comitati di Indirizzo delle ZES dopo le modifiche introdotte con la legge n. 160/2019 che, con la previsione dei Commissari Straordinari di Governo, ha di fatto ulteriormente ampliato e frazionato la governance, vale a dire proprio ciò che nell’essenza finisce per “complicare ed appesantire” la conformazione di un organo collegiale già sufficientemente complesso, anziché “semplificare” l’attività di gestione delle ZES e le attività delle imprese che intendono investirvi.


Inoltre, considerata l’insufficienza delle risorse finanziarie sinora stanziate per le ZES,  non può essere giudicata favorevolmente l’abrogazione dell’art. 34 del D.L. n. 34/2019, convertito con modifiche dalla legge n. 58/2019, prevista nella legge n. 160/2019. Infatti l’art. 34 prevedeva la definizione di un “Piano grandi investimenti nelle zone economiche speciali” destinando a tale scopo risorse finanziarie per il triennio 2019-2021 pari ad un totale di 300 milioni di euro, che invece, a causa dell’abrogazione, sono state in gran parte trasferite al «Fondo Cresci al Sud», il nuovo fondo per la crescita delle PMI.
Infine, anche rispetto ad un’analisi comparata delle discipline vigenti in altri Stati dotati di ZES, rimane oscura la ragione per la quale nel nostro Paese permangano due differenti strumenti diretti a finalità e contesti operativi uguali, nonostante che con l’introduzione della variante cd. “rafforzata” delle ZLS in determinate aree del Centro e del Nord Italia, tale “dualità” terminologica e funzionale sia ormai più formale che sostanziale. 


Fra l’altro, considerato che in Italia i drivers necessari per l’istituzione di ZES e di ZLS sono essenzialmente i porti, la precitata “dualità” risulta palesemente incoerente rispetto ad una visione di sviluppo sistemico del cluster portuale e logistico nazionale, corrispondente alla logica ispiratrice della riforma portuale del 2016, ed anzi la vanifica, in quanto si verifica l’esistenza di alcuni Sistemi Portuali che sono resi più competitivi di altri, esclusivamente per l’opportunità di poter catalizzare investimenti potendo avvalersi, oltre che soltanto delle semplificazioni procedurali, anche dell’offerta di particolari agevolazioni fiscali e della facoltà di ricorrere a procedure “accelerate” per l’istituzione di zone franche doganali. Questa disparità, soprattutto alla luce dei drammatici effetti economici prodotti dalla pandemia in tutti i sistemi portuali e nei rispettivi cluster logistici del Paese (che si auspica possano giustificare l’ampliamento dei territori nazionali ammissibili agli aiuti a finalità regionali ex art. 107 TFUE nel nuovo QFP 2021-2027), non può che suscitare sconcerto. 


Pertanto, auspicando il superamento di questo approccio “duale”, è necessario il ricorso ad una strategia endogena di accelerazione dello sviluppo economico nazionale fortemente imperniata sul concetto di ZES “di Salvaguardia” dell’economia nazionale, attraverso un single/comprehensive approach, che comporta l’enfatizzazione dell’obiettivo della difesa della competitività commerciale ed economica del Sistema Paese attraverso la creazione di regimi normativi ed infrastrutturali business-oriented diretti all’unico obiettivo della promozione dell’intero cluster produttivo italiano.
Rispetto all’attuale orizzonte economico difficile da decifrare, l’unico dato inconfutabile è che solo questa strategia può rappresentare la chiave di volta per soddisfare le specifiche esigenze delle imprese e per consentire di passare da una fase di deficit ad una di surplus nel minor tempo possibile, con conseguenti impatti positivi per i lavoratori e le famiglie.


In particolare, tra i benefici ottenibili attraverso le ZES, la diversificazione economica assume un ruolo centrale per contrastare gli effetti economici negativi prodotti dalla pandemia. A tale riguardo il comunicato ufficiale del G20 Trade and Investment Ministers Meeting del 22 settembre 2020 proprio focalizzato anche sulle ZES, recita: “Economic diversification reduces vulnerability to economic shocks and remains an important goal for all countries, particularly developing and least developed countries. The economic and social impact of the COVID-19 pandemic raised our sense of urgency in working to address structural weaknesses and increase the resilience and sustainability of our economies and our value chains inter alia through more diverse production and trade structures. In this regard, we acknowledge that trade in services and special economic zones could foster economic diversification”.


La poliedricità degli interessi pubblici implicati (soprattutto quelli economici nazionali), comportando il coinvolgimento diretto o indiretto ratione materiae di plurime Istituzioni dello Stato, avvalora ancor di più l’opportunità di un approccio centralizzato nella governance di tali strumenti, per la sua adeguatezza a tutelare più efficacemente i molteplici interessi pubblici e della collettività coinvolti nello specifico settore, nonché ad assolvere alla funzione di sintesi fra essi. Ciò rileva ancor più considerando la precitata esposizione del sistema economico nazionale ad essere oggetto di possibili rischi di speculazioni condotte da soggetti esteri, che potrebbero approfittare della maggiore necessitata propensione del Paese a catalizzare gli IDE per rimediare alle conseguenze economiche provocate dalla pandemia. 


Questa strategia sarebbe coerente anche con le Linee Guida del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) - #NextGenerationItalia (rispondenti all’iniziativa della Commissione Europea Next Generation EU approvata dal Consiglio Europeo il 21 luglio 2020). Le Linee Guida, approvate dal Comitato Interministeriale per gli Affari Europei - CIAE nel settembre 2020, indicano le missioni di intervento del Governo, tra cui vi è “la competitività e resilienza del sistema produttivo”, per le quali “è necessario ripensare gli strumenti utili ad attrarre investimenti e favorire processi di reshoring”.
Considerato che il PNRR si basa sul Piano di Rilancio presentato dal Presidente del Consiglio negli ‘Stati Generali’ svoltisi nel giugno 2020, in cui è previsto anche il rafforzamento dell’attrattività delle ZES, è ovvio che quest’ultimi strumenti debbano assurgere a sicuri protagonisti per il conseguimento degli obiettivi indicati nelle precitate Linee Guida, rispetto ai quali essi sono infungibilmente funzionali, all’interno delle “Politiche per l’attrazione di IDE e a favore del reshoring” che saranno predisposte dal Governo. 


La capacità delle ZES di determinare un’accelerazione dello sviluppo economico è notevole. Prima della pandemia, in un’analisi condotta nel 2019 dalla Banca Mondiale, risultava che il tasso di crescita medio nelle ZES era in media del 14,7%, ossia  maggiore dell’11,56% della crescita media rilevata nel resto del mondo.


Attualmente la WTO prevede che il commercio globale si contrarrà fino al 32% a causa della crisi pandemica. L’anticipazione di tali nefaste conseguenze si è già verificata nei mesi scorsi in qualsiasi comparto produttivo mondiale, compresi, sia pur in maniera infinitamente inferiore, quelli ubicati in Free Zones e ZES, la cui ontologica caratterizzazione normativa ed infrastrutturale business - oriented ha operato, in tale eccezionale frangente, con effetto paracadute garantendo una reazione positiva più rapida.


In effetti i Recovery / Crisis Plans messi a punto dalle governance delle Free Zones e delle ZES, in sinergia con i rispettivi governi, sono stati orientati al soddisfacimento delle principali esigenze manifestate dalle imprese, rappresentate oltre che dall’estensione degli incentivi fiscali, soprattutto dalla riduzione dei costi per fare impresa (obiettivo raggiunto con l’introduzione di maggiori semplificazioni burocratiche) e dalla facilitazione dell’accesso al credito.


A questo proposito le strategie imperniate sulla replica e sull’adattamento di best practices adottate all’interno delle «zone franche d’eccezione», soprattutto se ZES, sono suggerite dall’UNCTAD tra i fattori da inserire in qualsiasi programma governativo diretto ad accelerare la ripresa del settore economico e produttivo nella fase post COVID-19. 


Magari anche in Italia, in base alle sollecitazioni emergenti a causa della pandemia, si potrebbe ipotizzare un’«apertura» concreta all’era della crescita e delle riforme strutturali del Paese, nonché del rafforzamento e della difesa dell’economia nazionale. 


L’archetipo di un efficace modello di sviluppo del nostro Paese attraverso la realizzazione di riforme sempre proclamate e mai attuate, potrebbe trovare finalmente l’esordio proprio in nuova concezione delle ZES che, da strumenti esclusivamente concepiti in un ambito funzionale logistico/portuale, potrebbero divenire anche «laboratori territoriali sperimentali» di politiche pilota per liberare il Paese dalle zavorre (prima fra tutte l’eccessiva burocrazia) che ne rallentano, ora più che mai, il rilancio.
Tali «zone franche d›eccezione» potrebbero assurgere ad un vero e proprio paradigma innovativo di sviluppo in cui, nell’ottica di soddisfare l’esigenza di un nuovo modo di concepire il rapporto della business community con la società civile, dare finalmente inizio all’era delle riforme a medio e lungo termine all’interno del Paese, che potrebbe ben conciliarsi con le caratteristiche tipiche di tali regimi business-oriented, così da consentire ai provvedimenti legislativi attuativi di politiche innovative di “incubare” in aree predeterminate, prima della loro estensione, una volta tarati, all’intero territorio nazionale.


Un rilancio nazionale imperniato su questo tipo di strumenti ha un precedente storico da non sottovalutare, perché potrebbe avere molte similitudini con quello attuale. Infatti non è un caso che per “accelerare e incoraggiare il commercio estero” negli Stati Uniti, furono varate le Foreign Trade Zones nel 1934, al fine di mitigare gli effetti distruttivi dello Smoot- Hawley Tariffs Act del 1930, che aveva ancor più aggravato la crisi susseguente al crollo di Wall Street del 1929, determinando il più famoso miracolo economico della storia economica che è il New Deal.


L’abbandono della precitata “dualità”, l’utilizzo funzionalmente più avanzato delle ZES, la previsione di agevolazioni amministrative e fiscali più incisive, nonché la strutturazione della loro governance a livello di Istituzioni centrali del Paese, con possibilità di assolvere adeguatamente anche a funzioni di intelligence finanziaria, costituiscono una strategia urgente contro possibili interventi speculativi a livello mondiale diretti verso l’economia nazionale (si pensi, ad esempio, alla cautela che dovrebbe usarsi nell’ipotesi di investimenti istituzionali realizzati con fondi sovrani da parte di Paesi stranieri in settori infrastrutturali chiave per lo sviluppo delle ZES italiane ancora in una delicata fase di start-up). In tal senso potrebbero garantire la soddisfazione di tali esigenze, la creazione di un’Authority ad hoc indipendente, oppure l’attribuzione di funzioni di coordinamento ad un Organismo Interdipartimentale a livello ministeriale. 


Tale “cambio di passo” sarebbe utile anche per la difesa dalle strategie di Paesi chiave come Russia, Turchia, Cina e Corea del Sud, nonché in Europa, soprattutto Spagna, Regno Unito (con i piani strategici post BREXIT), i paesi dell’Europa dell’Est capitanati dalla Polonia, ed, infine in ambito extra UE, i Paesi della penisola arabica che delle ZES di ultimissima generazione stanno facendo un programma di crescita e di aggressione del mercato, intercettando gli investimenti che non trovano, in Stati come l’Italia, quel motivo di attrazione in grado di catalizzare capitali produttivi.
Infine un auspicio che allo stesso tempo è un monito per il nostro Paese, che dal 1° dicembre 2020  ha assunto la presidenza di turno del G20: la difficoltà nel salvaguardare la propria competitività a livello internazionale non esponga al rischio di non sapere tutelare la permanenza di un rapporto di interdipendenza “alla pari” dell’Italia con gli altri Stati.

Avv. Maurizio d’Amico
Già Membro dell’Executive Board
della Federazione Mondiale delle Zone Franche e delle Zone Economiche Speciali (FEMOZA)

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