Header Ads

OTTOBRE 2020 PAG. 50 - Marina Militare e Marina Mercantile Le sfide comuni



 “La ricchezza è in genere necessaria per sostenere la potenza militare, così come la potenza militare è di solito necessaria per conquistare e proteggere la ricchezza”.(1)
Questa constatazione, che Paul Kennedy aveva posto all’inizio del suo capolavoro, “Ascesa e declino delle grandi potenze” si applica all’ambiente marittimo, ancor più che a quello terrestre, perché, come osservava un profondo studioso del passato, l’Ammiraglio Mahan, “il mare, o l’acqua, è solo un grande mezzo di circolazione creato dalla natura, proprio come il denaro è stato creato dall’uomo per lo scambio di prodotti. Cambiate il flusso di uno qualsiasi di questi fattori come direzione e intensità, e modificherete le relazioni politiche e industriali del genere umano”.(2)
Da quando, poi, la tecnologia ha consentito lo sfruttamento delle risorse marine, insieme a quelle dei suoi fondali, l’importanza del mare, come fonte di ricchezza di un Paese, si è moltiplicata, rispetto a quanto affermava l’Ammiraglio americano.
Di queste due citazioni ci interessano, ai fini di quest’analisi, due aspetti. Il primo è la parola “protezione”. Se guardate ai documenti di strategia della Difesa, degli ultimi anni, questa parola viene poco usata. Eppure, nei poco più dei 150 anni di esistenza del nostro Paese, la protezione è stata l’attività più intensa delle nostre Forze Armate, e non solo della Marina: se abbiamo tenuto per decenni una flottiglia di navi in Sud-America per proteggere i nostri migranti, e abbiamo mandato navi fino in Australia, quando i nostri concittadini erano vessati, un motivo ci doveva pur essere.
Ai nostri giorni, la missione di reparti dell’Esercito, dotati di armamento pesante, a protezione della ditta italiana impegnata nella riparazione dell’ex “Diga Saddam e le sempre più numerose operazioni della Marina Militare nel Mediterraneo Centrale (Mare Sicuro), contro la pirateria nell’Oceano Indiano (Atalanta), e infine per la salvaguardia dei nostri traffici e dei nostri assetti estrattivi nel Golfo di Guinea, mostrano che ai nostri tempi la protezione delle nostre attività oltremare è diventato il compito più difficile, e direi il più importante, della nostra Difesa.
Passando al secondo aspetto delle citazioni riportate all’inizio, l’ammonimento di Mahan sui profondi effetti dei cambiamenti dei flussi commerciali marittimi suona come un segnale d’allarme che non tutti, in Italia, sono in grado di cogliere, malgrado già due volte, nella Storia, il nostro Paese si sia impoverito, quando il Mediterraneo è stato escluso dai grandi flussi del commercio internazionale marittimo. La prima volta fu dovuta agli Ottomani che, conquistando Costantinopoli, nel 1453, sbarrarono la Via della Seta; e la seconda quando le chiusure del Canale di Suez, durante le guerre nel Medio Oriente del XX secolo, e più di recente la pirateria nell’Oceano Indiano, hanno impedito il libero accesso dei beni e delle merci al Mediterraneo.


La rotta prescelta, in ambedue i casi, per collegare l’Asia all’Europa è stata quella che compiva il periplo dell’Africa. Questa rotta privilegiava i porti dell’Europa atlantica, lasciando il Mediterraneo nella condizione di mare impiegato solo da traffici marittimi al suo interno, anziché rimanere una delle vie principali del commercio mondiale. 


Oggi, la situazione è ancora più seria. Come osserva uno studioso contemporaneo, “ci stiamo muovendo verso un’era in cui le supply chain costituiranno una fonte di potere più importante delle Forze Armate – il cui obiettivo, del resto, sarà sempre più proteggere quelle anziché le frontiere”.(3)
Se è vera questa previsione, appare chiaro che le connessioni tra le Marine Militari e quelle mercantili stiano diventando un’esigenza sempre più importante per garantire la sicurezza del nostro commercio e delle nostre attività estrattive nel mondo, la fonte primaria del nostro benessere e della stessa sopravvivenza del nostro popolo.


L’Italia, infatti, è un Paese povero di risorse naturali e ha trovato, fin dai primi anni della propria esistenza come Stato unitario, il modo di assicura

re la vita della propria popolazione grazie all’importazione di derrate alimentari e di materie prime, e alla trasformazione di queste ultime in manufatti, da esportare in larga parte all’estero. 


In tempi non sospetti, lo stesso Antonio Salandra, il Presidente del Consiglio durante il 1914, era già stato estremamente chiaro nel sottolineare la nostra condizione di dipendenza dal mare, affermando che: “a noi era impossibile partecipare a una guerra contro Francia ed Inghilterra alleate: non l’estensione delle nostre coste indifese e delle nostre grandi città esposte; non il bisogno assoluto di rifornimenti per via di mare di cose essenziali all’economia nazionale e alla vita stessa: grano e carbone soprattutto”.(4)


Rispetto alla situazione cui accennava Salandra, sono cambiate alcune cose, che peraltro non hanno modificato sostanzialmente il quadro generale, rendendolo, al contrario, maggiormente complesso e importante per noi. Anzitutto, sono cambiate le potenze marittime: la Francia e la Gran Bretagna sono state sostituite dagli Stati Uniti e dalla Cina, ma si sono aggiunte al quadro generale altre potenze minori, come l’India, oltre alle già ricordate due ex potenze mondiali, che hanno mantenuto una capacità di influire sugli eventi marittimi, sia pure a livello inferiore. 


Inoltre, l’esistenza di agenti terzi, non statuali, che agiscono per il perseguimento di fini propri o addirittura per procura, è sempre più diffuso, complicando ulteriormente il panorama mondiale. Questi agenti sono i più pericolosi, perché mirano alla distruzione dell’attuale ordine mondiale, e quindi attentano, direttamente o indirettamente, alla nostra stessa sopravvivenza. L’insieme di tutte queste complicazioni giustifica l’affermazione, fatta dallo stesso studioso citato prima, che: “la competizione per le connettività sarà la corsa agli armamenti del XXI secolo”.(5)


Questa competizione ci interessa ancor più, rispetto al passato, poiché l’entità dei nostri scambi con l’estero si è ampliata enormemente, consentendoci una qualità di vita che, se non ancora pari a quella dei Paesi più ricchi, è comunque molto migliorata rispetto agli inizi del XX secolo. Le “supply chains”, che Mahan chiamava, giustamente, le “autostrade del commercio”, sono quindi la linfa vitale del nostro Paese, vere e proprie “Linee strategiche” da proteggere, insieme ai nostri connazionali che, all’estero, le alimentano.


Per far fronte a questa situazione, alcuni Paesi, come la Francia, hanno istituito un organo di coordinamento civile-militare, alle dirette dipendenze del Capo del governo. Il “Segretariato Generale del Mare”, come è stato chiamato questo organo, assicura una comune linea d’azione tra gli Organi della Difesa e le realtà imprenditoriali marittime, in modo tale che vi sia una sinergia nella pianificazione, nelle azioni, e nella presentazione all’opinione pubblica delle esigenze del settore marittimo.


Da noi, nel secolo XIX, un tale coordinamento era in atto, dato che esisteva il “Ministero della Marineria”, che univa le competenze sulla Marina Militare e su quella mercantile. Con la creazione del Ministero della Difesa, nel secondo dopoguerra, e con il transito della Guardia Costiera e delle altre componenti civili all’interno di altri Ministeri (Marina Mercantile, poi Trasporti), si è perso ogni legame istituzionale permanente tra tutti gli attori marittimi italiani.
È ben vero che, ufficiosamente, i contatti sono sempre continuati, anzi si sono intensificati negli ultimi tempi, ma questa collaborazione a livello orizzontale ha spesso mostrato crepe, con perdite di efficacia anche significative, a causa di incomprensioni tra gli interlocutori o per la mancanza di una conoscenza condivisa degli ambienti in cui si doveva operare in sinergia. 


Se non si crea un “salotto buono” dove i responsabili della Difesa (non solo della Marina Militare), della Guardia Costiera e delle componenti armatoriali e sindacali possano lavorare assieme in modo continuativo, non ci sarà mai completa sintonia tra tutti gli attori italiani sul mare.
L’aspetto più grave di questa mancanza di un organo di coordinamento delle attività marittime è che si è persa, a livello governativo, la consapevolezza che il mare ha bisogno di una “Grande Strategia” (o, per dirla con linguaggio moderno, un “Approccio Omnicomprensivo”), e che questa, come tutti i campi in cui la decisione è di tipo interministeriale, necessita di un diretto coinvolgimento del Capo del Governo, sia per la pianificazione, sia per le azioni da intraprendere. Ciò è possibile solo mediante un organo che gli fornisca una visione complessiva. 


In fondo, la creazione di un ente coordinatore, alle dirette dipendenze della Presidenza del Consiglio, non è una novità, per noi, essendo già avvenuta nel caso, ad esempio, dei Servizi Informativi. Negli altri Paesi europei, come si è visto, questa prassi organizzativa è invece molto più diffusa.
Abbiamo sempre avuto un rapporto difficile con la Francia, fatto di alti e bassi, ma dobbiamo ammettere che, nella Storia, abbiamo imparato molto dai nostri cugini d’oltralpe, nel campo dell’organizzazione statale e della legislazione.
 Il razionalismo francese, infatti, ci ha spesso fornito valide soluzioni a problemi di fondo, riguardanti il funzionamento della macchina statale. Forse è il caso che facciamo un altro passo nella stessa direzione, e creiamo anche noi un Segretariato Generale del Mare, che dia coerenza alle nostre politiche marittime.

Amm. Sq. in Ausiliaria Ferdinando Sanfelice di Monteforte,
 Professore di studi strategici,
 Insegnante di Strategia Marittima all’ISSMI (Ist. Superiore Stato Maggiore Interforze)


NOTE
1)  P. KENNEDY. Ascesa e Declino delle Grandi Potenze. Ed. Garzanti, 1989, pag. 20.
2)  A. T. MAHAN. Strategia Navale. Ed. Forum di Relazioni Internazionali, 1997. Vol. I pag. 201.
3)  P. KHANNA. Connectography. Fazi Editore, 2016, pag. 37.
4)  A. SALANDRA. La Neutralità Italiana. Ed. Mondadori, 1928, pag. 92.
5)  P. KHANNA. Op. cit. pag. 37.

 

Immagini dei temi di Bim. Powered by Blogger.