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FEBBRAIO 2020 PAG 26 - Salvaguardare il presente per guardare al futuro







Il “peso” economico del sistema portuale di Venezia – Chioggia, emerso in modo netto (e forse inaspettato per la grandezza dei numeri emersi) dalla ricerca presentata alla Heritage Tower, ha animato la discussione su come salvaguardare l’ecosistema porto, evitando rischi di disgregazione. Come reagire al momento di difficoltà, tra scenari geoeconomici e tecnologici in mutamento e problematiche tipicamente territoriali.  

Alessandro Panaro (SRM). La linea rossa con cui graficamente si illustrano le rotte che passando Suez si limitano ad attraversare il Mediterraneo, evitando l’Italia, si è inspessita nel periodo che va dal 2012 al 2017. Frutto dell’aumento dei traffici container conseguenti al raddoppio del Canale, del consolidamento di economie di scala che i porti italiani non riescono più a supportare efficientemente, di un contesto generale sempre più complesso, in cui bisogna fare i conti con una molteplicità di modelli portuali. Pur nell’ambito di una crescita della direttrice adriatica (ideale per servire i mercati del Nord Italia e del centro Europa) la portualità del sistema Venezia – Chioggia deve confrontarsi con i problemi di attrattività comuni a tutti i porti della penisola. “Dal Pireo, favorito da un surplus di investimenti, alla Spagna, dove si punta sull’alleggerimento della burocrazia, a Tangermed e Port Said, dove l’insediamento delle ZES ha prodotto un rafforzamento del tessuto economico retroportuale, bisogna rispondere a differenti strategie di sviluppo all’interno dello stesso bacino”. È all’interno di queste coordinate che va risolta la questione della competitività del sistema marittimo anche valorizzando le competenze del cluster («la Cina ha un alto livello di connessioni ma poca circuitazione logistica») e analizzando a fondo i cambiamenti, già in atto, nella gerarchia del gigantismo navale, lo squilibrio import/export con il Far East, l’impatto delle nuove tecnologie («le navi da crociera si stanno adeguando all’LNG: i modelli di sviluppo circolari non sono di per sé incompatibili con i traffici turistici»).   

Antonello Fontanili (Uniontrasporti). Il paradosso delle merci che arrivano nella pianura padana via Rotterdam. La scarsa competitività del modo ferroviario è «dovuta sia ad una dotazione infrastrutturale deficitaria sia alla poca attenzione che negli anni precedenti FS ha rivolto al settore cargo». «Una recente ricerca Mckinsey individua Venezia come potenziale riferimento per il traffico export via Brennero ma il sistema sconta difficoltà a livello di connettività e accessibilità quando potrebbe essere la porta del made in Italy del corridoio SCAN-MED. Con un traffico ferroviario del 10% il sistema portuale è in linea con la media nazionale ma in ritardo rispetto all’Europa. D’altronde la ferrovia a doppio binario elettrificata è al di sotto delle altre regioni del Nord Est (55% contro il 60%) mentre la TAV può contare solo su un tratto di appena 29 chilometri. «È necessario recuperare terreno in un contesto difficile. Da un’indagine camerale emerge che delle 19 priorità stradali del Nord Est dal 2011 ad oggi ne è stata risolta solo una; delle 13 ferroviarie solo due».

Stefano Micelli (Università Cà Foscari). I sistemi portuali, nati su una matrice novecentesca, stanno incrociando nuovi modelli produttivi, in vorticoso mutamento. «La manifattura sta cambiando pelle. Dalla rinuncia all’economia di scala – favorita dal clima di liberalizzazione – si passa alla produzione di nicchia. L’export non si misura più solo in termini di quantità e in questa nuova configurazione servono i servizi aggiunti». A mancare sono soprattutto le competenze, il “capitale umano”. «In una città come Venezia sembra assurdo ma manca un corso universitario sull’economia dei trasporti. La nuova economia delle piattaforme necessita di nuove figure professionali proprio perché il capitalismo italiano non è in grado di dialogare con la Cina».
In questa situazione può venire utile la capacità di interlocuzione con l’estero sviluppato dall’AdSP, a patto che i livelli progettuali diventino sempre più complessi. «Il discorso vale anche per il turismo: rispetto al concetto di overtourism bisogna impostare nuovi ragionamenti. I progetti devono essere alla scala che il mondo si aspetta».

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