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LUGLIO 2018 PAG 10 - Commercio marittimo della Campania, non solo Cina

In un pamphlet di qualche anno fa sui difetti del carattere nazionale lo scrittore Antonio Pascale addebitava agli italiani una sorta di “difetto narratologico”. “Siamo un popolo da primo atto,” spiegava, “che indirizza tutta la propria stupefacente creatività nelle dichiarazioni di intenti e poi rinuncia via via all’analisi che, come si sa, è faticosa, frustrante, richiede tenacia e competenza”. Diagnosi impietosa che Pietro Spirito, da quasi due anni alla guida dell’AdSP del Mar Tirreno Centrale, adatta a suo modo al settore di competenza puntando il dito su “discussioni e dibattiti dove immancabilmente, con una sorta di rovesciamento della dialettica, si prende partito, si sceglie una posizione ancor prima di aver vagliato attentamente gli elementi in campo e la posta in gioco”. Una convinzione che emerge come un filo rosso lungo le riflessioni che uniscono Los Angeles al Beverello, via Bruxelles, fino al futuro del Mediterraneo.

Da quali considerazioni nasce la recente missione dell’AdSP in America?
L’attenzione legittima verso la Cina e la BRI non deve mettere in secondo piano gli stretti rapporti commerciali della Campania oltre Atlantico. Nonostante la controversa fase politica che stanno attraversando gli USA sono un grande paese con volumi di scambio per i prodotti italiani che superano i 68 miliardi di euro. Il sistema portuale della nostra regione può contare su rotte storiche verso la California e scali come Los Angeles e Long Beach sono all’avanguardia nelle pratiche ambientali e nell’innovazione tecnologica. L’accordo tra i rispettivi enti portuali parte da qui e prevede condivisione e scambio di competenze: da parte americana c’è grande interesse a sviluppare una funzione come quella passeggeri che è nostro tradizionale appannaggio. 

Negli USA non possono attraccare navi oltre i 14mila Teu, cosa ne pensa?
E’ una conseguenza delle limitazioni legate alla grandezza del Canale di Panama e di una precisa indicazione del governo federale che si è tradotto in un volontario non adeguamento delle banchine al fenomeno del gigantismo navale. Una risposta che l’Europa non è in grado di replicare per due ordini di fattori: la mancanza di una politica federale, il ruolo di cerniera del Mediterraneo nei flussi commerciali tra Asia e Stati Uniti. Non avendo posto precedenti restrizioni dobbiamo confrontarci con navi da 22mila Teu che movimentano sia le merci destinate all’Europa, sia quelle che dall’Europa sono dirette in America.

Bisognerà inseguire il gigantismo navale adeguando le infrastrutture?
Non è una scelta obbligata. Porti come Napoli non sono iscritti alla gara per chiare considerazioni strategiche: si tratta di uno scalo multifunzionale, con una spiccata matrice industriale. Il problema, piuttosto, si pone per chi ha puntato sulle attività di transhipment alimentando una concorrenza spietata su un mercato poco remunerativo. Gli armatori semplicemente stanno sfruttando un eccesso di offerta.

Di cosa ha discusso con la delegazione italiana a Bruxelles?
Della tassazione dei porti e delle ZES. Personalmente contesto la posizione della Commissione europea che considera i porti come soggetti in concorrenza tra di loro. Si tratta di infrastrutture, per loro natura legate alle condizioni geografiche di vicinanza con le aree produttive: se devo spedire conserva di pomodoro uso il porto di Salerno, non quello di Rotterdam. Altro discorso sono i terminalisti che insistono su scali limitrofi. Faccio ancora una volta l’esempio campano: non sono i porti di Napoli e Salerno ad essere in concorrenza ma i servizi offerti dai loro operatori. Si tratta di una discussione tutta di natura giuridica che tralascia considerazioni economiche semplici ma fondamentali. 

E, allora, tutta la discussione sulla trasformazione della AdSP in Spa?
Sinceramente, non mi appassiona. Da testimone ho seguito la trasformazione delle ferrovie in Spa, un percorso che è giunto al termine di un lungo dibattito, tra pro e contro, su quello che si voleva fare. Nel caso degli enti portuali manca l’analisi. Si prende un partito preso senza vagliare gli elementi, senza valutare la posta in gioco.

Per le ZES?
In attesa degli ultimi due passaggi normativi per portare in porto il provvedimento va assolutamente affrontata la questione dell’esclusione dei settori trasporti, logistica e cantieristica determinato dalla legislazione europea sugli aiuti di stato. Quello italiano è il primo caso di ZES incentrate sui porti ed è evidente la contraddizione che si va configurando. Senza dubbio si tratta di una conseguenza dei cambiamenti avvenuti negli ultimi 25 anni nel settore logistico, passato da attività esterna di trasporto e magazzinaggio delle merci a vera e propria funzione integrata della manifattura. Bisogna cominciare a ragionare su questo tema e a costruire una posizione condivisa con il governo.

Ue matrigna o strumento poco sfruttato?
Matrigna perché non siamo in grado di starci. Siamo europeisti a parole e localisti nei fatti. Mentre gli altri paesi sfruttano i meccanismi comunitari anche per perseguire l’interesse nazionale noi concepiamo l’Europa solo come vincolo esterno: come grimaldello per quelle imposizioni su ciò che non siamo in grado di portare avanti da soli. 
  
A Napoli sono ripartiti i dragaggi, partita chiusa?
Viviamo in uno strano paese, incrociamo le dita. Purtroppo, troppi soggetti intervengono sulla stessa materia, con troppi controlli e troppo poco controllo sul merito degli stessi. Non si tratta di un problema di norme primarie. Piuttosto ci sarebbe bisogno di tante piccole riforme, una manutenzione profonda dei processi amministrativi che non conquistando i titoli dei giornali, l’attenzione mediatica di cui il paese sembra aver bisogno come l’ossigeno, viene continuamente rimandata.   

Affaire Beverello…
Parto da un presupposto irrinunciabile: la difesa dell’interesse pubblico è anche quello di impedire i conflitti di interesse e, semplicemente, credo che un gruppo di armatori non possa gestire un servizio di biglietteria perché costituirebbe una barriera all’ingresso di altri operatori. In 15 anni di chiacchiere, dove si è intervenuto su tutti gli aspetti possibili e immaginabili, non si è mai parlato di questo. Banalmente sostituiremo l’indegna baraccopoli attuale con una struttura pubblica che sarà successivamente messa a gara.

Nell’interrogazione parlamentare del M5S si parla di altre priorità…
Si è parlato anche di risorse distratte da altri progetti. In verità non abbiamo sottratto alcunché a niente. Avevamo già stanziato cifre cospicue per la manutenzione: andavano solo utilizzate. L’AdSP ha un programma di medio lungo termine sugli interventi da effettuare. Annualmente poi rimodula le priorità fissate rispetto ai cambiamenti avvenuti nel frattempo. Per me “manutenzione straordinaria” significa soprattutto cambiare il volto, adeguandolo al suo ruolo, all’infrastruttura di accesso al cuore del porto di Napoli dove passano ogni anno 8,5 milioni tra passeggeri e turisti.       

È arrivato il momento di fare il tagliando alla riforma?
Un anno e mezzo è troppo poco per fare un bilancio. Anche perché, ad esempio, va  verificato il ruolo della Conferenza nazionale, non ancora convocata dal nuovo governo. Si tratterebbe di uno strumento essenziale di coordinamento e indirizzo anche per l’azione a livello europeo e internazionale. Ma come si fa a giudicare la sua efficacia se non si riunisce dallo scorso dicembre?  Sul piano della governance portuale in ambito locale bisognerebbe invece porre mano alla delicata questione dei piani regolatori, da affrontare a livello complessivo. I tentativi di razionalizzare e semplificare la materia solo sul “lato porto” non sono riusciti nell’intento. 

Come rapportarci al Mediterraneo?
È la grande distrazione collettiva dell’Europa. Dopo la caduta del muro di Berlino, troppo impegnata nel processo di allargamento a Est, l’Ue ha perso di vista gli urgenti fenomeni di conflitto ma anche di crescita economica che vedevano sempre più protagonista l’area del bacino. Mentre per il mondo, soprattutto la Cina, il Mediterraneo diventava luogo di opportunità per noi è diventato solo fonte di preoccupazione. È il momento di invertire la rotta.
Giovanni Grande
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