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NOVEMBRE 2020 PAG. 27 - Affrontare le tematiche critiche del mondo del lavoro portuale


 

 Parafrasando Tolstoj si potrebbe dire che se tutte le imprese portuali felici si somigliano ogni impresa portuale infelice è invece disgraziata a modo suo. Ne sa qualcosa il Presidente della Culp Napoli, Pierpaolo Castiglione, reduce da una missione presso le compagnie della penisola aderenti ad Ancip, di cui ricopre il ruolo di vicedirettore, con l’obiettivo di raccogliere le tutte le tematiche critiche che in questo momento stanno attraversando il mondo del lavoro portuale. «L’intenzione è quella di sintetizzare questioni generali e locali in un documento da presentare in sede ministeriale, al fine di fornire il quadro più dettagliato possibile per l’introduzione di misure di sostegno al settore». 


Le principali difficoltà che stanno affrontando le compagnie?
È ovvio che ogni realtà vive sulla sua pelle le difficoltà legate alla peculiare specializzazione portuale, con un calo dei traffici che generalmente ha fatto emergere situazioni critiche a livello locali già in incubazione. Il quadro locale, come prevedibile, risulta abbastanza frammentato anche se è stato possibile ricavare una serie di indicazioni generali che accumuna tutto il nostro mondo. Tra questi senz’altro la mancanza di direttive ministeriali chiare in tema di autoproduzione. Questione sentita in modo particolare negli scali del centro e del sud della penisola, comprese le isole, dove alcuni operatori continuano a non tenere in conto le prerogative assegnate dalla norma ai lavoratori dell’art.17.  


Cos’altro è emerso?
L’esigenza di attivare le misure previste dall’art.15 bis, soprattutto alla luce delle perdite registrate a causa della pandemia: il bonus da 90 euro non basta. Superato questo 2020 il vero timore riguarda gli anni a venire. La riqualificazione del personale, il ricollocamento delle unità lavorative inabili, l’incentivazione all’esodo e, soprattutto, il ristabilimento dello stato patrimoniale sono tutti strumenti che permetterebbero un riequilibrio della situazione. 


Qual è la situazione particolare a Napoli?
L’impatto della pandemia è stato drammatico. La Culp ha perso il 33% del fatturato, circa 4mila turni in meno previsti entro la fine dell’anno, ripartiti in modo diverso tra i settori container, roro e passeggeri. Di fatto è stato azzerato tutto il percorso virtuoso intrapreso negli ultimi anni per rimettere in piedi l’azienda: nel 2019 eravamo riusciti a chiudere il bilancio per la prima volta in positivo. In seguito a una serie di accordi con i principali operatori dello scalo che sarebbero entrati a regime in questo 2020 e ad un sacrifico chiesto ai nostri soci – il taglio dei costi del lavoro del 15% per un triennio – avevamo di fatto centrato tutti gli obiettivi del piano d’impresa bocciato dalla AdSP quasi due anni fa. Il rischio di liquidazione della cooperativa è stato alto.  

       
Quali iniziative ha intrapreso la Compagnia?
Insieme ai vertici dell’AdSP, superando le incomprensioni iniziali, abbiamo puntato all’applicazione delle misure del 15 bis contestualizzandolo all’attuale stato emergenziale. Se l’art.17 è centrale per garantire l’operatività dei porti, questa l’impostazione seguita, allora, almeno per il 2020, vanno attivati tutti i meccanismi di sostegno. Una posizione che alla fine sembra aver fatto breccia ai tavoli ministeriali. Resta intatta la volontà di riprendere nel 2021 il cammino interrotto. 


Cosa prevede per il prossimo futuro?
Ribadisco una convinzione personale: il modello, legittimo, di concessione ai privati scelto per il porto di Napoli andrebbe rivisto. Nelle altre realtà c’è stato un maggior equilibrio tra l’assegnazione delle banchine in concessione e quelle destinate ad uso pubblico. Qui la sola destinazione pubblica, peraltro non sfruttata, della banchina 21, introduce una rigidità operativa rispetto all’acquisto di nuovi traffici che si tramuta in rigidità anche sul mercato del lavoro. Non a caso consideriamo negativa qualsiasi decisione di aumentare il numero di concessioni art.16 e spingiamo per una revisione approfondita del piano organico dei lavoratori: in mancanza di spazi per attrarre più traffici si rischia solo l’effetto domino della precarizzazione del lavoro.

G.G.

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