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MARZO 2022 PAG. 38 - La Geopolitica energetica verso il Mondo Nuovo

 



Non v’è dubbio alcuno che il conflitto europeo tra Russia e Ucraina in corso stia velocemente cambiando gli equilibri geopolitici ed economici mondiali. Che l’attuale guerra sia di pertinenza globale è dimostrato dal recente interessamento cinese. Infatti Pechino si è proposta o per meglio dire è stata chiamata come mediatore ed interlocutore credibile per eventuali trattative di pace. In questa direzione si è svolto un lungo colloquio tra Pechino e Washington. Ora al di là del risultato del colloquio è chiaro che questo conflitto, ancora legato a delle logiche di proxy war, assume valenza mondiale non solo per i preoccupanti possibili sviluppi militari, ma anche per quelli economici che non si sono fatti per nulla attendere. Se da un lato la Cina ha aumentato notevolmente le esportazioni di molti prodotti con la Russia, legandola maggiormente alla sua struttura industriale, grazie anche all’imbarco prodotto dai paesi europei ed occidentali, dall’altro soffre della corazzatura del dollaro che sta registrando tassi di crescita invero poderosi a danno della strategia d’espansione del yuan cinese.

 Ricordiamo che proprio il trade asiatico dell’RCEP è stato realizzato per sostituire la banconota americana e quella britannica negli scambi asiatici. In più non è da sottovalutare che l’Ucraina, in tempo di pace, forniva oltre il 40% del grano e dei cereali del fabbisogno cinese. Per cui oltre a mettere sul piatto della bilancia delle relazioni internazionali richieste con risvolti Indopacifici, Pechino potrebbe avere un interesse immediato per far tornare il prima possibile quella strategica zona del mondo alla normalità. In ultimo va considerato che proprio per la strategia di penetrazione economica cinese è fondamentale che le nazioni interessate agli investimenti infrastrutturali di Pechino, attraverso i quali poter raggiungere il controllo del commercio, vivano un periodo di stabilità e pace. Ma al di là di questa doverosa introduzione bisogna notare come questo conflitto si sia inserito in una serie invero poderosa di accelerazioni economiche e geopolitiche che modificheranno, ma sarebbe più opportuno sostenere che stanno già modificando, i futuri equilibri soprattutto in campo energetico. La crisi russo-ucraina infatti ha mostrato tra i tanti fattori la debolezze e la dipendenza europea nel campo energetico. L’imbarco economico ha poi peggiorato una situazione già di per se complicata. Non si può non notare come l’energia è un elemento fondamentale per lo sviluppo economico, commerciale e quindi sociale. Infatti non è possibile pensare ad una crescita industriale senza aumentare i consumi energetici o in una condizione di perenne dipendenza energetica. Una verità che assume una maggiore rilevanza soprattutto dopo due anni di contrazione economica, commerciale ed industriale determinata dalla pandemia in primis e dalle crisi dei noli marittimi e dei containers in secundis. Al centro della questione ricompare con forza l’autonomia energetica europea, ma soprattutto quella nazionale. Sembrerebbe che con lo scoppio del conflitto il vecchio continente si sia scoperto dipendente dal gas russo e dalle altre fonti energetiche. Una scoperta che ha dimostrato con eccezionale chiarezza come la tanto agognata conversione o per meglio dire transazione energetica sia ben lontana da realizzarsi in tempi brevi.

 I sogni degli ottimisti e degli ambientalisti ad ogni costo si sono infranti contro la fredda esigenza empirica del mondo industriale e della immediata necessità di quello reale. Beninteso il ricorso alle energie rinnovabili è cosa assolutamente desiderabile da perseguire con grande energia, ma la storia ci insegna che la mera volontà o il legittimo desiderio sono condizioni indispensabili, ma non sufficienti e che queste trasformazioni epocali abbisognano di molto tempo quantizzabili in diversi decenni. Presumibilmente bisognerà attendere un più copioso e specifico sviluppo tecnologico per realizzare la desiderabilissima transizione energetica che una volta realizzata cambierà definitivamente il corso della storia. Orbene, ritornando alla questione energetica è necessario sottolineare come l’Europa importi ben 155 miliardi di metri cubi di gas dalla Russia. Una domanda che molto probabilmente, se non si fosse verificata la guerra russo-ucraina, sarebbe cresciuta considerevolmente con la tanto agognata ripresa economica post covid-19, poiché non è pleonastico sostenere che ad una ripresa economica corrisponde genericamente una maggior produzione ed un considerevole aumento dei consumi e quindi di energia. Bisogna poi affermare che l’enorme quantità energetica richiesta complessivamente non sarà facilmente sostituibile nel breve periodo, ma bisognerà attendere qualche anno per ripristinare la disponibilità iniziale. Questa realtà porterà inevitabilmente non solo ad un ridimensionamento considerevole dei consumi, ad strategie inflazionistiche già in atto con durissime ripercussioni non solo sugli strati deboli della società, ma anche sui trasporti e nel comparto industriale. Infatti sono ormai percepibili i primi segnali di shock energetico che da solo, come tutti gli economisti sanno, ha già iniziato a distruggere la domanda operando rallentamenti industriali, tramite il mero consumo delle merci stipate nei magazzini, riduzione della produzione e quindi del personale. In questo quadro non molto roseo spicca la richiesta energetica italiana la quale si concretizza con poco più di ben 29 miliardi di metri cubi di gas.

 Per capire l’entità di questo dato basti pensare al fatto che non è solo circa un quinto della richiesta complessiva europea, ma anche quasi il 40% della necessità energetica nazionale. Infatti l’Italia importa complessivamente 76 miliardi di metri cubici di gas dall’estero. Le scelte folli degli ultimi anni hanno impoverito notevolmente la produzione energetica nazionale che per seguire il prematuro sogno della transizione energetica ha provveduto troppo repentinamente e senza attuare strategie compensative un doloroso taglio in questo essenziale settore. Orbene parrebbe che sino a qualche anno fa l’Italia produceva circa 20 miliardi di metri cubi di idrocarburi e che dopo qualche scelta non proprio avveduta attualmente ne produca solamente da 3 a 4 miliardi. Non è certo un segreto che la maggior parte dell’energia elettrica viene ancora prodotta con sistemi per così dire tradizionali, ossia tramite la combustione dei carbon fossili e degli idrocarburi o grazie alle centrali atomiche. Per cui sarà difficile pensare ad una sostituzione sic et simpliciter di questa imponente richiesta energetica non potendo ancora contare sull’elettrico. Ad analizzare bene l’attuale situazione energetica nazionale bisogna ammettere che neanche l’Algeria ci potrà essere di aiuto poiché il paese africano già ci fornisce il 40% del fabbisogno energetico e sicuramente dovrà compensare anche le richieste provenienti dagli altri paesi europei. Per cui al momento le possibilità nel breve periodo rimangono davvero limitate. Certo l’attivazione del gasdotto EastMed, ossia quello al largo delle coste egitto-israeliane che dovrebbe portare il gas dal Medioriente fino in Puglia passando per Cipro e per la Grecia avrebbe risolto almeno parzialmente il problema, ma è stato interrotto dalla richiesta di Zona Economica Esclusiva turco-libica.

 Per cui sarà impossibile evitare un abbassamento dei consumi energetici senza il gas russo nel breve periodo, il ché porterà, come già sta accadendo, ad una contrazione della domanda e quindi ad un rallentamento della produzione con le conseguenze a noi tristemente note. In questa chiave di lettura un progetto nazionale che specializzasse nell’immediato i porti del sud come hub energetici, adoperando i fondi del PNRR, porterebbe un enorme vantaggio strategico non solo per una fornitura costante di energia alla struttura nazionale industriale, ma anche come perno geo-energetico europeo, soprattutto adesso che il conflitto russo-ucraino sta cambiando nuovamente i già precari equilibri europei.

Alessandro Mazzetti

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