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APRILE 2021 PAG. 36 - Il futuro dell’Europa dipende da come l’Italia userà i fondi

 


  Il futuro dell’Europa è legato al successo del Recovery Fund e, in particolare, al modo in cui i principali membri meridionali dell’Unione, Italia e Spagna, in primis, saranno in grado di mettere a frutto le sostanziose risorse economiche messe a disposizione. Destinatari della maggior parte dei finanziamenti, Roma e Madrid sono chiamate a rispettare tempistiche e modalità strategiche indicate da Bruxelles. Tanto che per l’economista spagnolo Luis Garicano, supervisore dei piani di rilancio nazionali da parte dell’Europarlamento “il futuro del debito comune e dell’Europa dipende da come Italia e Spagna useranno i fondi che riceveranno”. “Se sprecheranno questa occasione, non ne avremo un’altra. Se nel 2025 i giornali tedeschi parleranno di come Roma e Madrid hanno sprecato i soldi allora sarà la fine del debito comune europeo”. 


Ma in che modo il PNRR italiano impatterà sugli equilibri territoriali del nostro Paese? Le misure allo studio contribuiranno a migliorare la sperequazione tra le “due Italie”, contribuendo a sanare con le ferite del paese anche il destino della costruzione comunitaria?
Sul tema, in particolare, sugli interventi infrastrutturali e la logistica del PNRR Confetra ha prodotto una serie di osservazioni, illustrate al ministro Mara Carfagna dal coordinatore di Confetra Mezzogiorno, Domenico De Crescenzo nell’ambito dell’iniziativa “SUD Progetti per ripartire”.
Il mezzogiorno arriva all’appuntamento in una situazione di grande difficoltà: il calo del suo Pil negli ultimi 10 anni è del 6% a fronte di una crescita del paese del 2,4% e di una media europea dell’11,7%. Segno di una marginalizzazione testimoniata da una serie di cifre drammatiche: tasso di disoccupazione al 18% che continua a crescere; percentuale di NEET (non occupati nè in formazione) al 33% contro il 22% del resto del paese; costo del denaro per le aziende del Mezzogiorno è del 50% più alto rispetto al resto del paese; emigrazione in aumento.  


In questo contesto spiega De Crescenzo «è necessario agire senza indugio». «L’evidente carenza infrastrutturale è uno dei maggiori freni a qualsiasi politica di sviluppo. Occorre ripensare integralmente alle infrastrutture in una logica di vera e propria politica industriale. Solo operando in maniera determinata si riuscirà a capovolgere la logica che ha visto, ad esempio, il Gruppo Ferrovie tagliare del 29% gli investimenti al Sud, vale a dire il doppio rispetto al 15% dei tagli a livello nazionale».
Ma la dotazione infrastrutturale è solo il punto di abbrivio. Il rilancio del Sud Italia necessita di progetti specifici che vanno individuati «secondo una nuova logica»: basta con le “shopping list” slegate da una visione di insieme, si a «piani industriali, concertati con tutte le forze “pensanti” del territorio (logistica, manifattura, ricerca), che individuino percorsi di sviluppo con obiettivi concreti e misurabili, partendo inizialmente da ciò che esiste e può crescere».
Il presupposto è puramente economico: «per ogni euro investito al Sud si genera valore aggiunto per l’intero paese pari a 1,30 euro, 0,30 euro dei quali a beneficio diretto del Centro-Nord per effetto dei consumi». «Pertanto, investire al Sud non è solo un atto dovuto nel rispetto delle pari opportunità di tutti i cittadini garantito dalla Carta Costituzionale, è anche una maniera proficua per far crescere tutto il Paese partendo da sud».
In un processo che punti a rendere “più accessibile” tutto il Mezzogiorno le linee principali di intervento indicate da Confetra riguardano principalmente quattro punti. 


Ferrovie: Alta Velocità e treni merci europei non solo sulla Napoli - Bari per cui il PNRR prevede interventi limitati solo ad alcuni lotti. L’adeguamento dei tracciati ferroviari non può non tenere conto dell’esigenza di assicurare la completa continuità territoriale (Ponte sullo Stretto). Tuttavia l’investimento in AV/AC a sud di Salerno, sulla intera dorsale adriatica ed in Sicilia non possono essere subordinati alla realizzazione del ponte stesso che deve essere il raccordo finale di un investimento che non può attendere oltre. Non accettare come giustificazione “una debole domanda da parte del mercato” per spiegare la mancanza di investimenti in linee, stazioni e nuovi scali ferroviari. La domanda di un trasporto efficiente cresce quando tale trasporto esiste e viene via via reso disponibile, mentre è chiaro che in assenza di diverse e più competitive opportunità i cittadini si indirizzano verso l’unica opzione esistente: trasporto su gomma, e con mezzi privati (più costosi e più impattanti dal punto di vista ambientale).


Trasporto aereo: fino allo scoppio della pandemia il Sud del Paese mostrava un più che significativo trend di crescita nei flussi turistici malgrado la citata carenza di infrastrutture. Se il turismo è un asset su cui puntare occorre che i turisti possano arrivare facilmente nelle mete dei flussi internazionali. Quindi aeroporti moderni e collegamenti rapidi ed efficienti tra aeroporti e mete turistiche. Si tenga presente, tra l’altro, che al momento oltre il 50% dei voli verso gli aeroporti del sud sono di tipo low cost. Non va trascurato un altro enorme problema: il trasporto aereo di merci da/verso i territori del Mezzogiorno, oggi si svolge esclusivamente attraverso gli aeroporti di Roma e Milano, cosa che si traduce ancora una volta in maggiori costi legati al trasferimento interno e in un maggiore impatto ambientale posto che tali trasferimenti si svolgono su gomma in assenza di altra opzione.
Viabilità: lo stato delle infrastrutture esistenti è frequentemente indecoroso, la manutenzione carente, i nuovi progetti pressoché inesistenti. Eppure, la rete stradale del sud meno congestionata, potrebbe essere l’ideale laboratorio per testare il nuovo approccio all’utilizzo delle nuove infrastrutture autostradali (c.d.”smart road”).


Porti: i porti del Mezzogiorno valgono il 41% dell’intero interscambio nazionale merci via mare. Ad esclusione di Gioia Tauro nessuno di essi è interconneso alla rete ferroviaria, meno che mai a quella AV/AC visto che neanche esiste, se non nei dintorni tra Napoli e Salerno. Quella di indirizzare i porti verso una vocazione turistica e mediterranea è una visione miope e lontana dalla realtà. Non è infatti la collocazione sulla carta geografica che conferisce ruoli e vocazioni agli scali marittimi; piuttosto, sono i sistemi manifatturieri presenti nelle rispettive “catchment areas”, attraverso la loro domanda di servizi logistici da/verso determinate aree del globo, a indirizzare le scelte. Ciò che occorre sono porti moderni, efficienti, con elevato livello di informatizzazione e rimozione di vincoli burocratici anacronistici, con capacità direttamente proporzionali alle esigenze del territorio ed agli obiettivi di crescita prospettati. Inutile a nostro parere effettuare investimenti per “megaporti” che determinano una sovracapacità la cui sola conseguenza è il travaso di flussi tra porti vicini, impoverendo inevitabilmente i porti stessi a solo vantaggio dei grossi gruppi armatoriali dai quali il commercio mondiale oramai dipende. Infine va attentamente considerato che invece in chiave di funzione hub i porti del mezzogiorno, allorché connessi alla rete ferroviaria AV/AC potrebbero, in virtù della loro posizione geografica, costituire dei validi gate-in europei per l’ingente flusso di merci provenienti da Suez. Sbarcare i carichi a Gioia Tauro per il successivo inoltro ferroviario avrebbe positivi effetti combinati in termini di riduzione dei tempi di navigazione e di transit-time delle merci; dei consumi di carburante; di emissioni di CO2. Intercettando i flussi che oggi, pur diretti nel nostro Paese, sbarcano negli scali nord-europei, si porterebbe valore aggiunto al Paese mentre l’erario incasserebbe una quota enorme di dazi doganali che oggi vengono incamerati da paesi come Olanda e Belgio. 


Sulla base di questa impostazione non convince l’impostazione del PNRR, almeno nelle versioni fin qui circolate, nella misura in cui i finanziamenti andranno a opere già in corso e spesso già finanziate.
Il piano «ripropone l’odioso meccanismo della “spesa storica” che è alla base dello squilibrio attuale del Paese in tutti i settori». «Tale meccanismo, inoltre, non risponde alle direttive UE sull’annullamento del gap che, è bene ricordarlo, è l’obiettivo e la ragione per i quali all’Italia sono stati assegnati circa 50 mld di euro in più rispetto al previsto». Massima attenzione, dunque, all’utilizzo del Next Generation per opere già finanziate: «libererà risorse inizialmente già previste per quelle stesse opere attraverso altri strumenti: quei “risparmi” vanno investiti nelle aree dove c’è maggiormente bisogno di colmare il gap».

G.G.

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