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GENNAIO 2021 - PAG. 40 - Hong Kong, quale ruolo nel futuro della BRI?


 

 

Porta di accesso ai mercati cinesi Hong Kong rappresenta un punto di osservazione privilegiato anche per tenere d’occhio le recenti evoluzioni della Belt and Road Initiative. All’indomani dell’ultimo BRI Summit, tenutosi proprio nella regione a statuto speciale, l’Associazione Italia Hong Kong ha analizzato scenari e prospettive future nel webinar “Belt and Road Initiative e Greater Bay Area”. Spunti e indicazioni per un sistema – Italia alla ricerca di una parte da interpretare nella grande strategia cinese. 

 

Esempio più unico che raro di ex territorio coloniale più sviluppato della madrepatria, Hong Kong ha instaurato con la Cina, a partire dalla fine del controllo britannico nel 1997, un particolarissimo rapporto di simbiosi. Il compromesso politico “one country, two system” ha assicurato in questi anni reciproci vantaggi: lo status di regione amministrativa speciale ha funzionato da filtro tra il “capitalismo di stato” di Pechino e l’economia-mondo del post-guerra fredda.

Eminente centro finanziario, punto di appoggio per le aziende occidentali interessate a proiettarsi verso i vasti mercati interni e, allo stesso tempo, trampolino di lancio per le iniziative cinesi all’estero, Hong Kong, e a maggior ragione chi è interessato ad operarvi nell’ambito del business, dovrà ad ogni modo confrontarsi con l’evoluzione del suo “rapporto speciale” con il resto del Paese.

Le recenti frizioni politiche, ad esempio, sono giudicate come il prodromo di un cambio di paradigma nei rapporti tra le due parti. Le conseguenze sull’economia della pandemia da Coronavirus e il progetto di progressiva integrazione nella Greater Bay Area potrebbero accelerare, in un senso o nell’altro, il processo. Rispetto alle questioni ideologiche, in vista del 2047 (anno che dovrebbe porre fine al regime speciale), prevarrà il proverbiale pragmatismo del Partito Comunista Cinese? L’integrazione nella GBA “normalizzerà”, passo dopo passo, l’eccezionalità di Hong Kong? Il ruolo di riferimento verso l’estero sarà appannaggio di altri centri politico-economico-finanziari?

Questioni complesse con cui un sistema votato all’export come quello italiano, ma incapace finora di cogliere la serie di opportunità apertesi con il ruolo sempre più trainante occupato dall’economia cinese, non solo nel Far East, dovrà per forza confrontarsi. A maggior ragione, alla luce dell’evoluzione dell’iniziativa strategica BRI, da noi romanticamente evocata come nuova Via della Seta, che vede il nostro Paese direttamente coinvolto, con la stipula di un controverso Mou, e Hong Kong come uno dei sui principali centri di propulsione.

Per Alberto Bradanini, ex ambasciatore italiano a Pechino, il tema chiama direttamente in causa le scelte attorno al nostro interesse nazionale e agli strumenti per perseguirlo. «L’intesa firmata dall’Italia è centrata su una priorità sbagliata, l’export verso la Cina, che costituisce invece un ambito di relazioni tra i due paesi fisiologico». Ben altre le prospettive su cui lavorare. Ovvero l’infittirsi delle relazioni infrastrutturali tra Asia centrale ed Europa occidentale che la BRI pone come uno dei suoi obiettivi principali. «Serve lungimiranza, capacità di muoversi bene in territori poco conosciuti. Il sistema Italia ha bisogno di individuare grandi operatori che, accompagnati dalle banche, siano capaci di proporre e realizzare progetti, dimostrando credibilità nei confronti di Pechino ed efficienza per confrontarsi con una concorrenza sempre più agguerrita». In quest’ottica la Cina e il suo rapporto con Hong Kong rappresentano una cartina di tornasole, la dimostrazione, anche per l’Occidente, che si può operare al di là delle posizioni ideologiche. «Stiamo parlando di una grande civiltà. Dal confronto emerge la possibilità di guardarci dall’esterno, di capire su quali punti delle nostre politiche bisogna lavorare per competere su uno scenario globale».

Sull’inefficienza del Mou firmato dall’Italia, basato su un sostanziale fraintendimento dell’iniziativa strategica di Pechino, si esprime anche il presidente dell’Associazione Italia Hong Kong, Riccardo Fuochi. «Messo in moto il meccanismo, specie nei progetti infrastrutturali, non è detto che non ci sia spazio per le imprese italiane. Purtroppo non si è colto questo aspetto». Così come si sta ponendo poca attenzione all’evoluzione e all’approfondimento occorsi all’iniziativa nei sette anni da cui l’idea è stata lanciata. «Non bisogna dimenticare che la BRI contempla anche una parte domestica. Un aspetto che, anche a causa dello stop imposto all’economia mondiale dalla pandemia da Coronavirus, vedrà sempre più impegnata la Cina nello sviluppo del mercato interno». La grande sperimentazione della Greater Bay Area va esattamente in questa direzione: l’integrazione di un territorio in cui c’è la maggior concentrazione tecnologica del paese, perfettamente connessa a livello globale, che potrà contare sul valore aggiunto, in termini di know how finanziario e strumenti giuridici, di Hong Kong. «Non credo che questo processo farà venir meno il suo ruolo di riferimento per il mondo degli affari. Anzi, l’altissimo livello dei servizi professionali, combinati con principi in linea con quelli occidentali sotto l’aspetto della sostenibilità e della qualità complessiva della vita, permetteranno ad Hong Kong di rafforzare il suo ruolo di promotore e facilitatore del business tra la Cina e il resto del mondo».

A cominciare dalla nuova incarnazione tecnologica della BRI. Quella “Digital Silk Road” che Marco Marazzi, avvocato d’affari esperto di mercati asiatici, indica come la nuova strada intrapresa dalle aziendi cinesi per espandersi all’estero. «I brand digitali cinesi puntano alla preminenza conquistata da quelli giapponesi e coreani». Un percorso che, proprio con la forte reazione americana, evidenzia uno dei paradossi prodotti da un’interpretazione esclusivamente politica della Belt and Road Initiative. «Le aziende private che puntavano ad investimenti esteri solo per motivi economici, ad un certo punto, ne sono uscite fortemente penalizzate. L’iniziativa ha agito da volano nel far emergere l’importanza crescente dell’economia cinese ma allo stesso tempo ha allertato gli Stati Uniti sul versante della sicurezza. Sotto questo profilo l’Italia e l’Europa sono prese nel mezzo». Ma l’evoluzione della strategia cinese potrebbe sovvertire altri equilibri. Il Covid sta portando ad un ridimensionamento dei progetti inizialmente messi in cantiere. «Pechino sta reagendo al rischio di overstretch che l’aveva vista mettere piede dal Sud America all’Oceania. Con il crollo degli investimenti nei mercati alternativi la scelta potrebbe ricadere in un impegno concentrato nell’area del Sud Est asiatico, più prossima e meglio integrata rispetto ai suoi interessi». E proprio questa scelta potrebbe coinvolgere Hong Kong, ridimensionandone l’attuale ruolo. «Insostituibile sotto l’aspetto finanziario e per gli accordi fiscali firmati a livello internazionale, la regione speciale dovrebbe scontare la concorrenza di Singapore, porta altrettanto insostituibile per l’accesso ai mercati di quel quadrante».

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