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GENNAIO 2021 - PAG. 32 - La volontà politica per affrontare la complessità della transizione


 

«La partita del Recovery Fund si dovrà giocare sulla capacità del sistema Paese di cambiare paradigmi, innanzitutto culturali. Non basterà impiegare l’ingente somma di denaro messo a disposizione, la questione riguarda il cosa finanziarie e verso quale prospettiva futura. Le cose cambiano realmente solo se ai livelli decisionali si ha la capacità di una lettura differente delle cose». In questi anni Salvatore Antonio De Biasio, vice presidente Confindustria Basilicata, ha osservato da vicino, anche con ruoli di rilievo, settori strategici del nostro panorama industriale. Una conoscenza di vizi e virtù dell’apparato produttivo nazionale che lo porta a ragionare sulle pre-condizioni necessarie per affrontare le sfide della “nuova normalità”.

«Ci accingiamo ad attraversare un periodo di transizione. Anzi, sarebbe meglio dire che in un modo o nell’altro l’attuale emergenza sanitaria ci ha messo di fronte al fatto compiuto, costringendoci a tirare le file di certi cambiamenti che riguardano i nostri comportamenti quotidiani. L’emergenza ambientale è una questione assodata. Non si tratta più di ragionare per quante generazioni potremo ancora sfruttare le tradizionali fonti energetiche: la questione riguarda lo sfruttamento intelligente di ciò che abbiamo a disposizione. Bisognerà scegliere, per semplificare, tra estrarre il petrolio, la cui quantità nel sottosuolo, per quanto enorme, è finita, o di mettere a frutto il potenziale energetico delle correnti marine, che si rinnovano continuamente».

In questo concetto di transizione, la pandemia che stiamo combattendo gioca e giocherà il ruolo di catalizzatore. Ai cambiamenti geopolitici dell’assetto di Jalta si era già sovrapposto un quadro di grande accelerazione. L’emergere di quelli che erano i cosiddetti paesi in via di sviluppo come protagonisti dell’economia mondiale ha mescolato le carte in tavola, rimettendo al centro dell’attenzione il tema degli interessi nazionali da difendere.

«In un quadro che vedeva l’Europa presa in mezzo tra le guerre commerciali tra USA e Cina, la nuova assertività della Russia, la crescita dell’India, le misure intraprese per combattere le conseguenze economiche del Covid hanno prodotto una sorta di miracolo. Il “vecchio continente” ha prodotto uno sforzo comune. Il Recovery, con l’enorme quantitativo di risorse che mette a disposizione, permette di rimettersi al passo con i cambiamenti epocali che stiamo attraversando. A patto, però, che i soldi siano impiegati in attività e programmi innovativi. I quali, tra l’altro, non devono per forza partire da zero: ce ne sono in quantità chiusi nei cassetti. Frenati dall’equivoco culturale, quando non proprio dall’incapacità, di non guardare ad un futuro che impone un cambio di prospettiva».

È il caso, tra gli altri, delle energie rinnovabili e della necessità di pensare a un piano infrastrutturale in grado di accompagnare le nuove esigenze della transizione.

«Su eolico e solare il Paese ha fatto un lavoro egregio. È sulle rinnovabili e sulle biomasse che c’è ancora da compiere un lungo percorso. In questo caso s’impone un nuovo modo di pensare. Vanno bene tutti i ragionamenti sull’idrogeno. Ma fino a quando questa fonte di energia non si sarà tradotta in applicazioni tecnologiche concrete ed efficienti, fino a quando non sarà risolta la questione di una rete di accumulo e distribuzione, oltre a quella della produzione a monte e dei costi, dovremo arrivare a metà del secolo sfruttando altre soluzioni. Sta proprio qui la complessità della transizione. Serve la volontà dei decisori politici».

In pratica, l’industria italiana è in grado di affrontare la sfida sul piano tecnico. Sta alla politica indicare una strada comune che rimetta in discussione il sistema attuale.

«Non c’è una via alternativa. Confindustria ha da anni elaborato e raccolto documenti a proposito. Il balzo verso il futuro presuppone una serie di passaggi intermedi su cui la ricerca applicata sta già lavorando. Si pensi ai tremila pescherecci italiani che operano nel Mediterraneo. Andrebbero convertiti in motorizzazioni ibride: le soluzioni tecniche ci sono ma serve anche un chiaro indirizzo politico in grado di favorire questo tipo di processo. Sotto questo aspetto gioverebbe guardare anche alle esperienze altrui. In Francia e Spagna ho visitato interporti con annessi Politecnici e dipartimenti tecnici, segno di un interesse per l’innovazione e le sue ricadute non riscontrabile nei nostri paraggi. Stesso discorso per il tema della partecipazione pubblico privato. Sul punto, proprio per quanto concerne i fondi del Recovery, andrebbero posti precisi paletti: i soldi vanno spesi in Italia, con l’obiettivo di produrre ricchezza, beni e tassazione a beneficio del nostro Paese. È necessario aggregare le piccole e piccolissime realtà produttive e avviare, fin da subito, un percorso di dialogo tra le associazioni datoriali e il governo affinchè si chiariscano i rispettivi ruoli nell’ambito di un rapporto di trasparenza e comportamenti».

G.G.

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