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GENNAIO 2021 - PAG. 12 - Un ponte geopolitico tra Oceano Atlantico e Indiano


 

È indubbio che le trasformazioni geopolitiche si susseguano a ritmi più che sostenuti. Processi che, storicamente, per completarsi prevedevano il passare di alcuni lustri ormai si esauriscono in pochi mesi. Tale fenomeno è determinato, molto probabilmente, da un insieme variegato e composito di fattori tra cui spiccano indubbiamente la liquidità della società, quindi anche dei processi economici e politici e il continuo susseguirsi di accelerazioni ad un ritmo mai visto in precedenza. Certo, i processi di globalizzazione culturale congiuntamente a quello di denazificazione economica creano i presupposti naturali per far si che questi fenomeni assumano velocità sempre maggiori e serrata senza poter dedicare le giuste attenzioni alle tante idiosincrasie incontrate nel loro veloce incedere.

Già nelle ultime decadi a cavallo tra il vecchio e il nuovo anno possiamo registrare fenomeni di grande portata che sicuramente andranno ad incidere in maniera consistente nel future dinamiche economiche mondiali e politiche. Naturalmente si fa riferimento non solo alle recenti elezioni americane, ma anche alla realizzazione dell’area di libero scambio asiatica RCEP (Regional Comprehensive Economic Partnership) e al recentissimo accordo di libero scambio tra Europa e Cina (anche se sarebbe più opportuno definirlo accordo franco-tedesco-cinese). Insomma, solo questi avvenimenti basterebbero per spendere intere esistenze in analisi economiche e politiche di intere generazioni di specialisti.

Ora è indubbio che ogni attuale analisi non potrà prescindere dall’elemento “Mare”, poiché attraverso esso si sviluppa la vera colonna vertebrale dell’attuale sistema economico e politico. Proprio la dormiente Cina ci ha ricordato quella lezione appresa dall’antica Grecia già durante le guerre del Peloponneso, ossia che chi controlla i mari controlla il destino del mondo. In questa chiave di lettura vanno lette le recenti vicende e le loro probabili conseguenze nel breve periodo. Per cui sembra del tutto evidente che il RCEP non sia una risposta alla recente politica dei dazi americani, ma la conseguente riuscita di una strategia economica di lungo periodo legata ad altre strategie minori: precondizione indispensabile di consolidamento politico-economico nell’area asiatica e indo-pacifica. Tale strategia non solo tende a contrapporre un enorme bastione economico – politico - commerciale all’egemonia americana, ma ha anche il vantaggio di legare maggiormente la Russia all’area politica asiatica cinese isolando l’unico vero possibile competitors, l’India. In questa dinamica così fluida s’inserisce l’elezione di Biden alla presidenza della più importante democrazia occidentale, mentre sulla frontiera tra Cina ed India continuano le schermaglie e scontri tra truppe di confine.

Ora, per qualsiasi analista, sembra del tutto evidente che la realizzazione della Stringa di Perle da un lato e la realizzazione della strada ferrata, che unisce il porto pachistano di Gwadar alla provincia cinese dello Xinjiang, siano elementi tesi non solo a consolidare la posizione cinese nel sud-est asiatico, ma tendano ad isolare l’India sia via mare sia via terra. L’indubbia penetrazione cinese nel Mediterraneo, crocevia d’importanza strategica per gli scambia tra Asia e il continente euro-africano, chiudono, se pur parzialmente, il complesso quadro attuale.

Naturalmente oltre all’evidente processo di marittimizzazione dell’economia, l’area di libero scambio asiatica a guida cinese nasconde la più grande insidia attuale che destabilizzerebbe i già precari equilibri internazionali, ossia il tentativo di sostituire sul medio-lungo periodo la valuta cinese a quella americana come moneta di scambio internazionale. Una eventualità che porterebbe ad un possibile scontro totale tra i due ciclopi economici.

Non è certo un segreto che l’attuale pandemia ha indubbiamente avvantaggiato l’economia cinese la quale non solo può segnare già oggi importanti indici di ripresa, ma ha anche accorciato considerevolmente i tempi preventivati di un possibile sorpasso su quella americana. Così com’è indubbio poter affermare che il nuovo secolo è già caratterizzato da un’agguerrita Guerra Economica, è anche una verità storica ricordare che quando le potenze crescenti attaccano direttamente la leadership mondiale delle potenze dominanti gli scontri si traducano da economici a militari. Per cui, paradossalmente, si comprende come il gioco economico risponda, se pur indirettamente, a regole militari.

In fondo è assolutamente consono affermare che se il sistema economico mondiale si sviluppi lungo le rotte marittime e conseguentemente sulle catene e reti logistiche. È bene ricordare che quest’ultima è in primis una scienza militare come ben rimarcato dal numero di dicembre della prestigiosa Rivista Marittima. Non è un caso, infatti, che negli ultimi mesi si è dato vita ad una fittissima serie di esercitazioni militari.

Il 17 novembre forze navali americane, indiane, giapponesi e australiane (un’alleanza per il momento ancora informale denominata Quod) hanno condotto serrate esercitazioni nell’Oceano Indiano (Mare di Goa). Un dato che ci dimostra come la tanto decantata Cindia sia stata quasi un’invenzione giornalistica come argutamente ha fatto notare il professore Arduino Paniccia. A queste sono state contrapposte esercitazioni di truppe da montagna cinese nel periodo natalizio lungo la linea del confine indiano. In più, la frettolosa chiusura dell’accordo commerciale tra Europa e Cina pone subito in salita il rapporto tra il vecchio continente e gli Stati Uniti, i quali, tramite il nuovo presidente non ancora insediato, avevano chiesto una maggiore concertazione tra i due blocchi per stabilire una linea di condotta comune con il gigante cinese.

La risposta europea è stata quella di accelerare le trattative giungendo alla chiusura dell’accordo grazie all’intervento della Francia che molto probabilmente sul tavolo delle trattative non solo avrà posto i colossi dell’autovetture, mercato di grande interesse cinese, ma anche e soprattutto i tanti rapporti economici e commerciali in Africa, altra zona d’attrazione cinese. Biden di contro, e credo fosse inevitabile, ha continuato e molto probabilmente continuerà, a mantenere attiva una politica economica protezionistica per salvaguardare il mercato americano. Per cui, come spesso accade, le politiche estere delle grandi potenze difficilmente registrano bruschi cambi di rotta anche dopo i cambi di governo.

Molto probabilmente la dirigenza Biden si caratterizzerà da un ritorno militare nella penisola arabica e cercherà di condurre una politica di maggior concertazione con gli storici alleati europei, ma tenderà anche a serrare le file ripensando e probabilmente rimodulando l’Alleanza Atlantica. In questa nuova dinamica l’India assumerà un ruolo centrale come bastione democratico dell’espansionismo economico cinese e come vero pivot della nuova politica atlantica.

In questa chiave di lettura l’Italia potrebbe, ma sarebbe più opportuno dire dovrebbe, assumere un ruolo importante se non addirittura centrale poiché essa è il naturale trait de union tra Oceano Atlantico e quello Indiano. Proprio le difficoltà indiane di volgersi verso l’oriente spingeranno questa immensa nazione dall’importanza continentale a sviluppare la propria proiezione verso occidente attraverso il mar Rosso e quello Mediterraneo potendo contare anche sull’appoggio e l’aiuto di alcune nazioni arabe preoccupate dall’espansionismo e il radicarsi degli interessi cinesi.

Proprio per questo l’Italia con la sua posizione geografica, la sua capacità industriale (è sempre bene ricordare che siamo la seconda industria manifatturiera europea), ma soprattutto con il suo know-how marittimo e navale potrebbe essere il partner ideale al fine di aiutare l’antica terra di Gandhi a sviluppare la propria dimensione marittima. È del tutto evidente che l’India per uscire dall’isolamento creato ad hoc dai cinesi debba percorrere obbligatoriamente la via del Sea Power e che questo debba essere rivolto verso il Mediterraneo e l’Atlantico. In Italia esistono le competenze per sviluppare questa nuova necessità. Il nostro paese ha tutte le carte in regola per compiere questo ruolo di novello Vasco da Gama, ma forse sarebbe opportuno che il Belpaese iniziasse a dotarsi di quei presupposti indispensabili per assolvere le sfide geopolitiche ed economiche del nuovo secolo come il potenziamento delle reti infrastrutturali, il riallinearsi agli standard europei e la creazione di studi per una efficace proiezione navale del paese. In sintesi un Ministero del Mare.

 Alessandro Mazzetti

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