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DICEMBRE 2020 PAG. 68 - Logistica dei vaccini covid-19 un problema di supply chain


 



 
 E’ già stata definita la più grande campagna logistica della storia prima ancora non solo di iniziare ma anche di essere progettata. Sicuramente fare arrivare in modo tempestivo 10 miliardi di dosi di vaccini anti-Covid19 ai punti di somministrazione non sarà una passeggiata. Ma nemmeno impossibile, e forse nemmeno tanto difficile se si rimane nell’ambito della scienza e della tecnica logistica. Ma il problema non è logistico, o meglio non solo, è un problema di supply chain, anzi di tre. Vediamo intanto i termini del problema logistico.

Ormai lo sanno tutti, non esiste un vaccino anti-Covid. Tra le centinaia i candidati in valutazione o ancora in sviluppo, solo una decina, includendo anche quelli russi e cinesi, hanno probabilità significative, e variabili, di essere disponibili in quantità entro la prima metà del 2021. Inoltre, questa decina di vaccini è stata messa a punto con tecniche diverse, che si ripercuotono direttamente sulle loro caratteristiche chimico-fisiche e farmacologiche, il primo driver della logistica necessaria alla loro distribuzione. Senza entrare in dettagli, quelli che saranno disponibili per primi richiedono temperature di stoccaggio e trasporto da abbastanza a molto basse. Il vaccino Pfizer-BiOnTech deve essere mantenuto a temperature di meno 70 gradi centigradi fino al momento in cui viene scongelato per la somministrazione. Il Moderna inizialmente richiedeva la stessa temperatura, ma ora l‘azienda è riuscita a portare la temperatura sui meno 20. Altri vaccini, a partire da quello AstraZeneca - Università di Oxford, viaggiano a 2-8 gradi positivi. 

Secondo fattore, il luogo di produzione. Escludendo quelli cinesi e russi, tutti i vaccini in fase finale di valutazione dispongono di impianti produttivi negli Stati Uniti, in Europa o in entrambi i continenti. Moderna produrrà solo in USA, ma non prevede di distribuire in Europa, Pfizer utilizzerà uno stabilimento negli Stati Uniti (a Kalamazoo in Michigan) ed Europa (a Puurs in Belgio), AstraZeneca produrrà nello stabilimento Catalent in Maryland, nel Regno Unito e in almeno un altro impianto nella UE (alla Catalent di Anagni si farà solo l’infialamento). Moderna si affida a uno stabilimento Catalent negli USA e ad uno della svedese Recipharm con sede a Monts, in Francia per l’Europa. Sembra quindi che almeno in Europa i vaccini dovranno viaggiare per al massimo 1000-1500 chilometri, e senza barriere doganali, sulle quali hanno insistono a lungo le associazioni di categoria. 

Come? Il più difficile è quello Pfizer. E’ certo che viaggerà all’interno di contenitori refrigerati in modo attivo o passivo. In entrambi i casi, l’offerta è abbondante e qualificata. Di particolare interesse a parere di chi scrive è la soluzione scelta da Pfizer di un contenitore modulare, in grado di trasportare da 975 a 4875 dosi, in grado di mantenere a meno 70 per dieci giorni il farmaco senza interventi esterni utilizzando piastre eutettiche a ghiaccio secco. Il contenitore è dotato di GPS e  rilevatore di temperatura e si presenta come uno scatolone quadrato (il rivestimento esterno è di cartone) di una sessantina di centimetri di lato. Non esiste per ora una conferma ufficiale, ma a parere di chi scrive questo contenitore è molto probabile sia prodotto dall’azienda specializzata CSAFE Global, che ne ha a catalogo diversi di questo tipo, tra cui un modello che è praticamente identico a quello descritto.  
Si sono sollevati diversi dubbi tra gli esperti di trasporto refrigerato sull’effettiva capacità dei contenitori a ghiaccio secco di reggere per dieci giorni senza ripristinare la carica di refrigerante (il ghiaccio secco sublima, e soprattutto va maneggiato con cura), specie in presenza di un notevole differenziale di temperatura con l’esterno. Inoltre, all’interno dei contenitori, dopo un certo tempo, con la riduzione del refrigerante, si crea un differenziale di temperatura tra i punti più vicini alle pareti e quelli più interni. Per fortuna, esiste un soluzione semplice, che non comporta, come temuto, di dovere ripristinare sul campo il refrigerante (che comunque non è di facile reperibilità): i contenitori sigillati vengono caricati su camion refrigerati a -20 (i classici per il trasporto di surgelati). In questo modo si riduce della metà il differenziale di temperatura con l’esterno, il refrigerante si mantiene e funziona da solo solamente quando si è arrivati a destinazione. 

Tocchiamo ora il tema della tempestività. In questo caso significa due cose: fare arrivare il vaccino in tempi che ne garantiscano la conservazione, ma anche fare arrivare la quantità giusta di vaccino sui luoghi di somministrazione per inoculare tutti coloro che sono in lista per quel giorno. Come?
E qui la cosa si fa interessante. Gli studi, per esempio quello che ha condotto l’OITAf, l’Osservatorio Interdisciplinare Trasporto Alimenti e farmaci, e che è formato sulla base di una serie di raccomandazioni consegnate alle autorità italiane competenti, in primis la struttura del Commissario Straordinario, ha subito rilevato che non si tratta di una catena logistica, ma di tre, e che sono catene di fornitura. E quella dei vaccini è paradossalmente la meno problematica. Le altre due sono quella dei vaccinandi e quella dei vaccinatori.

Pensare infatti che basti portare le dosi da qualche parte e poi qualcuno si occuperà della somministrazione è poco più che il rovescio del commento di Napoleone alla domanda dei suoi ufficiali preoccupati per i rifornimenti all’Armée, “l’entendance suivrà”, con la somministrazione al posto dell’intendenza e i vaccini dei soldati. Ma ai tempi i soldati vivevano di saccheggi…
Visti i numeri in gioco, e soprattutto i tempi, le soluzioni medico-sanitarie tradizionali, che eccetto pochissimi casi (i prelievi) sono esempi di alto artigianato, non sono percorribili. Occorre cambiare paradigma. Partiamo dai numeri. L’obiettivo finale della campagna vaccinale anti-Covid-19 è la stessa delle altre, da quella anti-polio e alle più recenti contro le malattie esantematiche e il pneumococco, raggiungere un numero di persone immuni abbastanza alto da non offrire agli agenti infettivi “spazio” per diffondersi, la cosiddetta immunità gregge. Questo si fa con i vaccini e la percentuale minima della popolazione che va vaccinata dipende dall’efficacia del vaccino. Secondo quello che è stato comunicato, in Italia l’immunità di gregge anti-covid con i vaccini disponibili oscilla tra il 60 e il 65%, ossia 40 milioni di persone. Inoltre, visto che la Covid-19 è una malattia mortale e senza cura specifica (e le misure di contenimento sono devastanti sul tessuto sociale ed economico del Paese), l’immunità va raggiunta nel più breve tempo possibile. Tempo ancora più breve in quanto non è ancora noto sperimentalmente quanto dura l’immunità conferita dai vaccini, se ci si mette troppo si rischia di trovarsi ad imitare Sisifo. Da quanto è noto, l’obiettivo è quindi vaccinare 40 milioni di persone in Italia tra febbraio e settembre/ottobre. Non è mai stato fatto prima su questi numeri e in questo tempo. Con la complicazione che l’epidemia è in corso.

Subentra il cambio di paradigma: la Campagna Vaccinazione Covid-19 è un’intrapresa di tipo industriale che ha il suo «luogo» produttivo nella somministrazione. La Campagna funziona e raggiunge l’obiettivo (vaccinare numero di persone sufficiente a innescare l’immunità di gregge) se funziona in modo massimamente efficiente la somministrazione. La somministrazione costituisce in altri termini il “vincolo”, basandosi sul linguaggio usato dalla Teoria dei Vincoli (Theory of Constraints) sulla base del quale deve essere costruita la struttura che fa funzionare la Campagna. La produzione viene alimentata come anticipato da tre supply chains delle risorse necessarie: vaccini, vaccinandi e vaccinatori (compresi i necessari presidi medico chirurgici, come disinfettanti, siringhe di precisione eccetera). Non è necessario che queste supply chains siano efficienti, devono essere efficaci anche a discapito dell’efficienza. Per esempio, non importa (entro certi limiti) che fuori dal punto di somministrazione si formi una coda, l’importante è che i vaccinatori abbiano sempre “materia prima” da vaccinare e per vaccinare. Le tre supply chains hanno poi al loro interno dei canali diversi, es. per tipo di vaccino, per profilo del vaccinando…), in alcuni casi più semplici, in altri molto complessi (la somministrazione a domicilio ad anziani soli con difficoltà a muoversi fuori casa in luoghi lontani dai presidi ospedalieri, per esempio, un caso molto più frequente di quel che sembra). Nel caso del vaccino, la catena dello Pfizer deve tenere conto che il farmaco si degrada rapidamente una volta scongelato dai -70 (5 giorni a 2-8 gradi, ossia in frigorifero, massimo 6 ore a temperatura ambiente). 

A tutti gli analisti è apparso subito chiaro che la logistica dei vaccini Covid-19 avrebbe dovuto essere separata da quella generale dei farmaci. In breve, in Italia, questa si basa sulla figura dei depositari con i loro magazzini (che ricevono i farmaci dai produttori) e su distributori secondari, che può essere un’azienda o un magazzino centralizzato di una ASL o consorzio di ASL. Sono questi distributori secondari che normalmente consegnano ai punti di utilizzo. Tutto il processo avviene su gomma, trailer per la tratta produttore-depositario, mezzi più piccoli, da autocarri a furgoni per il resto. In un sistema di questo genere il produttore perde traccia molto presto del farmaco, e questo subisce prima di essere utilizzato almeno sei carichi-scarichi fisici e due o tre stoccaggi.

Pfizer (ma potrebbe essere una scelta condivisa da altri in futuro) ha fatto un passo in più, optando per il controllo totale della catena e la riduzione dei passaggi modali. L’azienda ha ricevuto ordini fermi per 100 milioni di dosi negli USA (altro mezzo miliardo in opzione), 200 milioni dalla UE (altri 100 in opzione), 120 milioni dal Giappone, 30 milioni dal Regno Unito, poi Sud-America, Asia-Pacifico. Da ciascun stabilimento di produzione ogni giorno usciranno (stanno già uscendo) una dozzina di trailer con a bordo ognuno più di 320.000 dosi (7,6 milioni complessivi da tutti gli stabilimenti). Una parte dei trailer andrà nel più vicino aeroporto, il resto su un centro distributivo continentale (in Europa sarà a Karlsruhe). Una volta in aeroporto o nel centro distributivo, i contenitori con i vaccini passeranno in carico ai grandi corrieri espresso (FedEx, UPS e DHL) che per via aerea (Pfizer calcola di avere bisogno di dieci cargo al giorno in Europa) e terrestre si occuperanno della consegna al punto dove i committenti, ossia gli Stati, diranno loro di consegnare. Sembra un’impresa gigantesca, ma bisogna ricordare che una fiala di vaccino Pfizer è piccola, contiene 2 millilitri. Per consegnare tutti i 27 milioni di dosi che l’Italia ha ordinato, sufficienti per 13,5 milioni di persone, bastano 84 trailer e le consegne saranno spalmate in otto mesi. Per l’Italia sono previsti 300 hub di somministrazione dotati anche di frigoriferi speciali a -70. E’ qui che Pfizer consegnerà, in lotti minimi di 2000 dosi, estendibili a multipli di 1000. Il costo logistico dalla produzione agli hub è compreso nel prezzo del vaccino e ne spiega in parte il maggior costo rispetto ai concorrenti (15 euro contro i 3-4 dell’AstraZeneca).
Per gli altri vaccini, con minori esigenze di temperatura controllata e a più limitato rischio di degrado, lo Stato italiano, ha deciso comunque adottare una catena logistica totalmente separata e controllata direttamente, attraverso le forze armate. Tutti i vaccini non Pfizer verranno infatti consegnati ad un hub nazionale nel sito interforze di Pratica di Mare (con il suo aeroporto dedicato a Mario de Bernardi, vincitore di Coppa Schneider) e da lì smistati ad hub regionali, di cui almeno alcuni militari (per la Toscana sarà lo Stabilimento Chimico Farmaceutico Militare di Firenze). Da lì partiranno le consegne verso 1500 hub di somministrazione, dove faranno base anche le unità mobili che porteranno i vaccini a domicilio, nelle RSA, ai medici di famiglia (anche per lo Pfizer).

Non possiamo entrare in dettagli nel descrivere le altre due supply chain (vaccinando e vaccinatori) che dovranno alimentare la macchina delle somministrazioni, anche perché al momento di scrivere ancora troppi punti del Piano governativo sono non noti od oscuri. Essi sono però esaminati in dettaglio nelle raccomandazioni di OITAf trasmesse alle autorità politico-amministrative. Torneremo in futuro sull’argomento, anche per dare contezza dell’auspicabile adozione di almeno parte di esse.

Marco Comelli
Segretario Generale OITAf

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