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DICEMBRE 2020 PAG. 60 - La Laguna soffre in anticipo i problemi delle città di mare


 

 Il difficile coordinamento tra operazioni portuali e MOSE fanno di Venezia un campo di osservazione privilegiato sul futuro del settore. Nell’ottica di sviluppo delle modalità operative “call port optimization” la Laguna sperimenta in anticipo le problematiche che dovranno affrontare tutte le città nate sul mare, con indicazioni utili sulle strategie da seguire nei prossimi decenni. Ne è convinto il presidente di Federagenti, Alessandro Santi, che pur nelle difficoltà dei primi approcci individua anche i vantaggi di chi si muove per primo. «C’è in ballo tutta la questione dell’accessibilità ai porti, tematica più generale che riguarda ad un tempo dragaggi, operatività notturna o in condizioni meteomarine critiche, ottimizzazione delle toccate». 


Venezia dunque come banco di prova per tutta la portualità nazionale?  
Tutto il sistema è chiamato a confrontarsi sul tema. Venezia è balzata all’onore delle cronache per le navi rimaste bloccate recentemente a seguito dell’innalzamento delle barriere di protezione del MOSE ma potrei parlare anche di Ravenna, che deve confrontarsi con le limitazioni imposte dalla nebbia, o di tutti i porti italiani alle prese con operazioni di dragaggio. Il problema vero è che la normativa italiana non si confronta con il concetto di “porto regolato”, adottato ormai anche a livello di indirizzo comunitario. Esistono tutta una serie di istrumenti in grado di far arrivare le navi in porto nel momento giusto, senza sovrapposizioni. Con vantaggi sotto l’aspetto operativo e dell’impatto ambientale. È questa la linea su cui dovremmo confrontarci per i prossimi 10-20 anni ma in questo Paese è difficile parlare di programmazione per il futuro. 


Un confronto che la ripartizione sul Recovery Fund renderà però necessario…
Il piano, così come lo conosciamo fino ad oggi, mette poco più di tre miliardi di euro per la logistica intermodale. Troppo poco rispetto a quanto previsto per A/V, autostrade o ferrovie. Siamo in dialogo serrato con il governo per cercare di diminuire questo sbilanciamento nelle risorse, frutto probabilmente della difficoltà culturale del nostro Paese a considerare la potenzialità di ricchezza che arriva dalle attività marittime. Continuiamo a considerarci una penisola lanciata nel Mediterraneo che guarda alle sue spalle. Abbiamo perso parte del nostro Dna marinaro. Anche per questo, come associazione, puntiamo ad un lavoro di sensibilizzazione sul lungo periodo. L’obiettivo è far capire ai giovani che il mare, con le sue attività, è il futuro del nostro Paese.  


Cosa pensa delle discussioni sul ruolo preponderante delle compagnie nella gestione delle filiere logistiche?
Questo tipo di situazione deve essere regolata dal mercato e dai suoi andamenti. Anche nella polemica sull’eccessivo aumento delle rate di nolo va ricordato che ci sono periodi e periodi e non egemonie da combattere. Negli anni scorsi le compagini armatoriali hanno sofferto, creando non pochi problemi anche ai nostri associati, come nel caso del fallimento di Hanjin. Ciò che conta per tutto il sistema è la garanzia di collegamenti e trasporti affidabili. Quello attuale è solo un momento della curva, bisogna aspettare che la situazione si riequilibri. 


Come esce la categoria dalle difficoltà innescate dalla pandemia?
La situazione del comparto è complicata ma gestibile. C’è da ricordare che stiamo affrontato la crisi sulle nostre gambe: il nostro codice Ateco, ad esempio, non rientra in quelli cui sono riconosciuti aiuti da parte pubblica. Il problema vero piuttosto risiede nella perdita di competenze in aree di business strategico. Per la nostra natura di anello tra mare e terra gli agenti sono custodi di una rete di attività svariate verso le quali servono ammortizzatori reali. Faccio un esempio legato al settore delle crociere, quello più colpito. Se il liutaio che ripara i pianoforti a bordo non riesce a sopravvivere professionalmente all’onda di quest’anno così difficile avremo perso per sempre un patrimonio di professionalità, competenze e specializzazione.  


Quali sono i principali punti da cui ripartire?
Come agenti ci siamo trovati ad affrontare fin dall’avvio del lockdown enormi problemi concreti e lo abbiamo fatto in stretto contatto con l’armatore, attraverso procedure nuove e azioni emergenziali che avremmo dovuto aspettare per anni in condizioni normali. Spero che il buono di questa esperienza venga preservato puntando a risolvere il grosso delle criticità emerse. Tra tutte la mancanza di un port community system nazionale. Su questo punto come federazione ci attiveremo per lo sviluppo di un sistema informatizzato dei porti finalmente efficace e interoperabile. I pilastri della ripresa dovranno per forza basarsi su digitalizzazione, green deal, valorizzazione dei giovani. Oltre a combattere le contraddizioni dell’eccessiva burocrazia che rende possibile interpretazioni diverse, a seconda degli ambiti portuali, di leggi uguali. La “nuova normalità” è già cominciata e dobbiamo affrontarli compatti, lavorando sulle cose e le priorità che ci uniscono.

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