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OTTOBRE 2020 PAG. 20 - Pandemia: fragilità inattese nel sistema global supply chain


 Il blocco delle attività economiche nei Paesi colpiti dalla pandemia ha evidenziato fragilità inattese nel sistema delle “global supply chain”. Ne ha subito le conseguenze tutta l’economia italiana, tra le più attive nei processi di integrazione delle catene del valore, grazie alla sua vocazione all’export, e di conseguenza il settore portuale, naturale (e preferenziale) sbocco dei flussi produttivi. Si spiega così l’annus horribilis cui si trovano di fronte i nostri scali, punto di partenza della relazione presentata dal presidente Daniele Rossi all’Assemblea Annuale di Assoporti, tenutasi in via straordinaria a Napoli nell’ambito della recente Shipping Week.  


Con una movimentazione di 200 milioni di tonnellate di merci i primi sei mesi del 2020 hanno registrato una perdita di traffici marittimi pari al 12%: traffici non recuperabili che chiamano tutto il sistema da una parte a “mitigarne gli effetti negativi, soprattutto sui lavoratori”, dall’altro ad affrontare una volta per tutti i nodi che hanno impedito ai porti italiani di essere competitivi sul mercato globale. Con una premessa fondamentale che Rossi ha ben evidenziato nella sua relazione: “La portualità italiana non ha bisogno di campioni infrastrutturali nazionali, la concentrazione logistica è innaturale e si scontra con la morfologia del nostro Paese”. Da qui, per assicurare la necessaria “connessione” le proposte avanzate dall’associazione, incentrate principalmente su semplificazioni, digitalizzazione, maggiore efficienza dei processi. 


Dragaggi
Un passo verso lo sblocco degli interventi potrebbe venire dalla “rimozione dei limiti allo spostamento dei sedimenti all’interno dello stesso bacino portuale e dalla sburocratizzazione del deposito temporaneo dei sedimenti, il cui termine andrebbe opportunamente prorogato”. L’obiettivo, nell’ambito di un confronto tra le strutture tecniche degli enti portuali, Ambiente e ISPRA è perseguire il giusto equilibrio tra esigenze dei porti e tutela dell’ambiente “in un quadro regolamentare chiaro, portando certezze e semplificazione”. 


Pianificazione delle opere
Le misure del Dl semplificazione per la realizzazione delle opere portuali vanno implementate così come le regole sulla pianificazione: “Se ci vogliono tre anni per l’adozione del DPSS e poi 3/4 anni per il PRP vuol dire che qualcosa non funzione”. “Si potrebbe iniziare conferendo valenza urbanistica – nel solco del Decreto Rilancio – al DPSS almeno per quanto riguarda le destinazioni funzionali delle banchine. Per questo sembra bastare una disposizione ministeriale interpretativa, il che permetterebbe di conferire certezza e coerenza alle numerose opere pubbliche che potranno auspicabilmente essere realizzate nei prossimi anni”. 


Strategia infrastrutturale di medio periodo
Un piano per la riduzione del gap infrastrutturale del Paese. “I porti del Sud non potranno esprimere la loro potenzialità e contribuire alla costruzione di una rete logistica nazionale diffusa se non potranno fare affidamento su una rete ferroviaria moderna ed efficiente”. In questa direzione – interventi mirati su ferrovie, strade digitalizzazione – vanno impiegate le risorse del Recovery Fund. 


Semplificazione normativa
Si tratta anche di una questione culturale. “La PA merita fiducia e rispetto e deve essere messa in condizione di lavorare con efficienza e serenità”. Questo significa mettere mano al Codice degli appalti e al Codice ambiente “limitando le sanzioni penali, inasprendole, ai soli casi di comprovata patologica infedeltà”. 


Riforma portuale
“La Conferenza dei presidenti deve funzionare con regolarità per garantire l’effettivo coordinamento centrale della portualità nazionale. Solo quando l’impianto normativo della riforma sarà a regime potremo valutarne l’efficacia e la necessità di modifiche. Discuterne oggi sarebbe solo una simpatica nostalgia”.

Stefania Vergani

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