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SETTEMBRE 2020 PAG. 22 - Promuovere e sviluppare l’industria portuale in Italia


 

 Iniziamo dalla storia: 26 anni fa, con il superamento degli enti/organizzazioni portuali (enti pubblici economici) e la creazione delle Autorità Portuali, si procede alla “privatizzazione” delle operazioni portuali e servizi accessori alle merci e ai passeggeri ed all’affidamento in amministrazione alle medesime di quelle porzioni di demanio pubblico asservite al collegamento mare/terra, cioè i porti marittimi principali; con una profonda differenziazione rispetto al regime precedente, poiché le AA.PP., braccio operativo del Ministero delle Infrastrutture e Trasporti, ma dotate di autonomia organizzativa patrimoniale e di bilancio, sono enti pubblici non economici, che non possono svolgere le suddette operazioni portuali di competenza delle imprese private.


Nascono così i concessionari portuali ovvero i Terminal Operators (art.18, l.84/94), le imprese portuali (art.16, l.84/94) e si avvia la creazione della fattispecie del lavoro temporaneo portuale (art.17, l.84/94), che viene prestato su richiesta dei suddetti T.O. e imprese.
L’esercizio dell’attività imprenditoriale è soggetto a un iter autorizzativo finalizzato alla concessione di un’area cui è sotteso un piano economico finanziario e una progettualità, anche dal punto di vista organizzativo, finalizzate a rendere “efficiente e produttiva” l’attività atta a sviluppare traffici (merci e/o passeggeri), che a loro volta impattano sul tessuto economico nonché e su un indotto che ha ricadute sulle realtà locali più o meno limitrofe allo stesso porto, e talora persino remote.


La relazione porto – territorio cresce anche all’interno della composizione degli organismi di governance delle Autorità Portuali, aumentando però l’entropia burocratica.
Con il d.lgs n. 169/2016 si procede, come noto, a una revisione degli assetti della governance portuale (da 24 AA.PP. a 15 Autorità di Sistema Portuale), che, pur nella mediazione territoriale attuativa, avrebbe voluto promuovere un’impostazione sistemica, con una visione coerente con l’evolversi del contesto dei mercati dello shipping e della logistica. 


I porti appaiono sempre meno asset produttivi e di collegamento locale, in un contesto di dinamiche di internazionalizzazione votate alle esigenze sia dell’import/export che alla influenza degli assetti e dimensioni dei players dei trasporti e della logistica (che mutano velocemente).
Anche a livello UE sono state individuate le principali direttrici di collegamento (reti TEN-T), tracciando quasi delle “rotte” di connessione commerciale/industriale intra e extra comunitaria.
Lo sviluppo dei porti e dei relativi traffici è evidentemente legato alla capacità di costruire e sviluppare partnership pubblico/privato attraverso lo strumento delle concessioni portuali (diverse per natura giuridica da qualunque altra concessione): la velocità nel cambiamento dei “dogmi” e delle esigenze del mercato richiede nuove formule giuridiche e culturali di partnership nella relazione pubblico/privato/istituzionale in cui operiamo.


Contesto e dati 2019
Nei porti italiani avviene più del 40% dell’interscambio commerciale del nostro Paese, per un valore di circa 253 miliardi di euro. Le aziende (tipizzate come Terminal Operators e Imprese Portuali) che operano nei porti movimentano circa 53 milioni di passeggeri e circa 500 milioni di tonnellate di merci (18% vs Mediterraneo). Queste imprese nel corso degli anni hanno investito cospicue risorse sul demanio portuale arricchendo di dotazioni essenziali gli scali nazionali anche a vantaggio della valorizzazione del demanio marittimo.
Le aziende attive ed effettivamente funzionali alla portualità in Italia sono attualmente poco più di 100 (di dimensione e fatturato molto diversi tra loro); esse danno lavoro a circa 30.000 collaboratori (al IV posto in UE) e sviluppano un indotto che interessa quasi 300.000 lavoratori.
L’Italia è la prima destinazione per le crociere nel Mediterraneo, leader nelle “autostrade del mare”, tra i primi 5 player dei traffici merci a livello europeo.
Assiterminal rappresenta quasi il 70% di questo comparto industriale, con quasi 70 aziende associate che erogano servizi per merci e passeggeri.


Impatto Covid-19
Gli impatti della pandemia sui settori produttivi e dei servizi, dal punto di vista dei volumi, dei fatturati e dei ridimensionamenti dei processi organizzativi sono evidenti e documentati.
La geografia degli equilibri produttivi e i conseguenti scenari sui cambiamenti delle dinamiche di approvvigionamento di materie prime, dei prodotti finiti e del turismo sono ancora da definire: ciò crea un combinato disposto di danni contingenti economici e finanziari ai player privati e notevole incertezza sulle future dinamiche dei trasporti di cui i porti sono l’anello di collegamento e congiunzione principale.


Percezione e misure normative
In questi mesi è emersa una “percezione” dell’ambito imprenditoriale sulla portualità quasi sia marginale.
I provvedimenti normativi sino ad oggi adottati hanno previsto, per lo specifico settore, solo:
- dapprima una “sospensione” con spostamento del pagamento dei canoni;
- successivamente la possibilità di riduzione dei canoni concessori, compatibilmente con la disponibilità di avanzi di amministrazione delle Autorità di Sistema portuale.
Di fatto una partita di giro: a seconda delle capacità gestionale e amministrativa delle ADSP, parte degli introiti degli esercizi finanziari degli anni precedenti (di cui i canoni sono un elemento consistente) possono costituire lo strumento di riduzione dei canoni per il 2020. 


Quindi, diversamente da altri settori produttivi strettamente correlati ai porti (o segmenti di attività tipiche portuali, diverse dai T.O.) – e che hanno pertanto subito le stesse dinamiche di contrazione di mercato – che fruiscono o fruiranno di aiuti economici volti a compensare le perdite subite, il settore produttivo trainante della portualità (cioè i T.O.) potrà trovare una parziale compensazione solo grazie a quanto ha già erogato in termini di contribuzione, attraverso i canoni concessori, negli anni precedenti e laddove gli Enti gestori abbiano capienza adeguata per sostenere detta misura (infatti, laddove vi siano AdSP “prive di risorse proprie” lo Stato interverrebbe con un fondo di 26 milioni di euro).


Considerazioni generali
Il combinato disposto delle misure ad oggi previste (ricordiamoci che siamo ancora in assenza di un Regolamento sulle Concessioni Portuali) quantomeno dovrebbe cristallizzare il principio (acclarato anche dalla normativa UE) secondo il quale piano economico/finanziario del concessionario, determinazione dell’importo del canone e durata della concessione siano tra loro strettamente correlati.
Quindi, di fronte a cause endogene che hanno causato una contrazione duratura dei traffici (volumi e fatturati relativi … che comunque seguono dinamiche diverse a seconda di contratti commerciali sottesi) la riduzione dei canoni e la rimodulazione della durata della concessione dovrebbero essere automatismi che si avviano de plano, nell’ottica di promuovere la sostenibilità e lo sviluppo degli investimenti privati funzionali al bene pubblico disponibile (concesso).


È evidente che tale principio sarà oggetto di formali posizioni che molti Terminalisti assumeranno nei confronti delle AdSP a tutela della tenuta dei propri investimenti e del proprio sviluppo: soprattutto laddove gli indicatori forniscono scenari di tempi lunghi per una ripresa adeguata.
Da notare che le categorie industriali che investono e operano nei porti (capital intensive alla pari di altri) non fruiscono purtroppo (come altre categorie imprenditoriali ad esse correlate) degli stessi benefici fiscali sul lavoro, sugli utili, sulle accise, sull’acquisto di nuovi equipments.


Gli extra costi sostenuti per far fronte alla continuità operativa (tranne le stazioni marittime passeggeri che hanno subito il fermo operativo del trasporto crocieristico e pertanto hanno avuto come unica opportunità l’accesso agli ammortizzatori sociali) sono commisurabili a più di 300 euro uomo/mese.
Per rendere efficaci le nostre proposte e la nostra visione stiamo predisponendo un serie di progetti funzionali al “recovery Fund” e alle successive call che offriranno opportunità di sviluppo attraverso forme di finanziamento sia pubblico che privato e abbiamo chiesto al MIT l’avvio di un tavolo per la messa a punto di un vero “sistema” della portualità che focalizzi criteri regole di ingaggio comuni in tutti i porti per uscire dal localismo e provare a giocarci la sfida di una competitività sostenibile del nostro sistema logistico vs i mercati di riferimento e le nuove opportunità.

Alessandro Ferrari
Direttore Assiterminal

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