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AGOSTO 2020 PAG. 26 - Mediterraneo, il ruolo italiano sul futuro dei suoi equilibri








Continua il viaggio di Porto e Interporto nell’analisi geopolitica del presente. L’intervista a Fabio Caffio, Ufficiale della Marina Militare in congedo, esperto di diritto internazionale marittimo e autore di vari scritti in materia, si concentra sul quadrante mediterraneo e sul peso dell’Italia nel determinare il futuro dei suoi equilibri.

Mediterraneo allargato. Quali sono i principali “dossier geopolitici” che lo caratterizzano e in che misura l’emergenza da pandemia da Coronavirus tenderà ad influenzarli?
Anzitutto una premessa: il concetto di Mediterraneo allargato, inizialmente elaborato dalla Marina Militare per indicare l’area di interesse nazionale in cui si svolge prevalentemente la propria attività, esprime l’idea che i limiti geopolitici del Mediterraneo sono in effetti molto più ampi di quelli geografici. Ragionando in termini di Wider Mediterranean, il suo limes occidentale può essere identificato, al di là delle Colonne d’Ercole dello Stretto di Gibilterra, nel meridiano passante per le Canarie; il che porta ad includere sia l’area strategica del Golfo di Guinea, sia le rotte del Nord Europa. Ad est i confini geopolitici del Mediterraneo sono ancora più estesi e giungono sino al Mar Nero ed al Mar Caspio e, verso sud, al Mar Rosso, al Corno d’Africa, al Golfo di Aden ed al Golfo Persico. In tale quadro di riferimento, appare evidente come la prosperità e la sicurezza del nostro Paese siano indissolubilmente legate al mare: la nostra è infatti un’economia basata sulla   trasformazione di materie prime e sul consumo di carburanti importati in misura non inferiore al 80% del fabbisogno (per il gas siamo invece al 40 %). La contrazione delle attività economiche mondiali connesse alla pandemia sta già avendo effetti negativi sui flussi di import ed export via mare del nostro Paese. Significativi anche la contrazione del mercato dei noli e del settore crocieristico. Nel frattempo i nostri Paesi vicini, soprattutto nel quadrante del Mediterraneo Orientale, stanno migliorando la loro situazione finanziaria grazie all’aumento delle attività estrattive di carburanti fossili: il che è alla base delle violente dispute per la delimitazione delle Zee che contrappongono la Turchia a Grecia, Cipro, Israele ed Egitto. Il nostro Paese mantiene invece una posizione defilata, apparendo non interessato a sfruttare le sue aree di piattaforma continentale in nome della transizione energetica verso le fonti rinnovabili, senza tuttavia rinunciare a collegarsi al gasdotto TANAP mediante il ramo TAP che attraversa il Canale d’Otranto. Questo spiega anche il nostro attendismo verso il gasdotto EastMed che è invece fortemente sostenuto dagli altri Paesi dell’EastMed Gas Forum, in primis Grecia e Cipro. A ciò si collega il costante richiamo alla protezione dell’ambiente marino che è oramai una sorta di involontario riflesso condizionato, spesso meramente teorico in quanto contraddetto dalla tolleranza di estesi inquinamenti di aree costiere. Non a caso la Zona di Protezione Ecologica (ZPE) istituita nel 2006 e stata sinora creata nel solo Tirreno, lasciando invece priva di protezione tutta l’area di alto mare dell’Adriatico, dello Ionio e dello Stretto di Sicilia adiacente le acque territoriali. Costante, invece, l’attenzione di tutti i settori della società italiana per il soccorso ai migranti provenienti dal Nord Africa. Verrebbe da pensare che per noi il Mediterraneo sia oramai solo una grande area SAR italiana e non anche uno spazio di sfruttamento di risorse naturali e di tensioni geopolitiche ad esso legate. In realtà, l’Italia tiene in gran conto anche la libertà di navigazione e di pesca. Questo spiega, ad esempio, come nel recente accordo sul confine della Zee con la Grecia dello scorso 9 giugno sia stata inserita proprio una clausola tesa a salvaguardare entrambi i nostri due interessi.

 In che modo l’irrompere della Cina in Africa e, con l’acquisizione di porti commerciali nel Mediterraneo, modifica questo quadro?
Non lo modifica ma ne aumenta le criticità. Solo a parole la Cina, che ha oramai acquisito larghe fette del mercato italiano di prodotti manifatturieri e tessili, si avvale di porti italiani nell’ambito della sua Belt and Road Initiative. Valga per tutti un esempio: a chi scrive capita sempre più spesso di dover acquistare lampadine made in China importate da una ditta spagnola. Il che vuol dire che, benchè noi siamo probabilmente tra i maggiori consumatori di prodotti cinesi in Europa, gli stessi ci giungono tramite altri Paesi (Spagna appunto, ma soprattutto Grecia) in cui sono sbarcati o trasbordati.
Nell’arco di crisi che caratterizzano il Mediterraneo (ZEE, immigrazione, tensioni mediorientali, etc.) qual è la più delicata per il nostro paese e perché?
Come ho già detto la nostra preoccupazione maggiore è per il dossier immigrazione che è visto ad un tempo dal punto di vista della sicurezza nazionale e del soccorso della vita umana in mare. Voglio ricordare che l’Italia è l’unico Paese europeo a sanzionare penalmente l’omissione di soccorso anche per tragedie avvenute nelle zone SAR di altri Paesi come quella maltese o libica. La nostra grande tradizione giuridica e la nostra sensibilità morale ci ha anche portati a stabilire un nesso tra salvataggio della vita umana ed assegnazione di un luogo sicuro di sbarco (POS, dall’acronimo inglese) nel nostro Paese. Il principio è stato stabilito per via giudiziaria dalla Corte di Cassazione nella sentenza sul caso Rackete. Non c’è bisogno di aggiungere che l’Unione Europea non ha svolto in merito alcuna funzione di armonizzazione tra gli Stati membri.

In generale quale ruolo ricopre l’Italia come “attore geopolitico” e in che modo dovrebbe orientare la sua presenza/azione sui vari dossier?
L’attenzione italiana per i vari dossier geopolitici non è costante. Nel settore dello sfruttamento energetico delle Zee di nostra giurisdizione come quella adriatica, qualcuno ci considera una “bambina capricciosa” che rifiuta quello che le spetta di diritto. Se si guarda al caso della Zee algerina del 2018 la quale si sovrappone a metà della piattaforma continentale ad occidente della Sardegna, ci si rende conto di come all’aggressività algerina si sia contrapposta, sino all’anno scorso quando abbiamo blandamente protestato, una sorta di nostra inerzia. Il credito di cui l’Italia continua nonostante tutto a godere nel Mediterraneo, è forse dovuto proprio a quello che potremmo definire un afflato universalistico e antinazionale che ci porta ad essere comprensivi con le intemperanze dei vicini. Si dice che l’Italia abbia perso il suo “estero vicino” sino a qualche anno fa incentrato sui Balcani, sulla Libia, la Tunisia ed il Medio Oriente. Questo è vero solo in parte in quanto l’antico Mare Nostrum (percepito oggi nella sua dimensione allargata) è lo spazio più prossimo con cui siamo in diretto contatto sul piano culturale ed economico, prima ancora che politico. Ci vorrebbe poco in effetti perché la collaborazione con molti vicini riprenda vigore. Si pensi all’Albania che fa sempre grandi professioni di amicizia, o all’Egitto, alla Tunisia, alla stessa Algeria o all’Eritrea (ma anche allo Yemen ed all’Iran se un giorno si ristabilissero le condizioni per relazioni amichevoli). Per non dire del Libano cui ci legano indissolubili rapporti di fiducia  e amicizia come dimostrano quaranta anni di missioni di pace, di cui 16 in ambito Unifil, e ben due missioni marittime come la “Leonte” del 2006 per la creazione di corridoi marittimi umanitari e per l’applicazione della Risoluzione delle nazioni Unite 1701 e quella di recente conclusasi a Beirut con l’arrivo del “San Giusto” cui è affidato il supporto ad una missione Esercito-Marina di sostegno logistico-sanitario al popolo libanese. Infine, va citato il nostro impegno nel peace-keeping navale attestato dalla partecipazione alle operazioni antipirateria ed agli embarghi navali come quello attualmente svolto dalla missione Ue “Irini” dedicato all’interdizione del traffico di armi e del contrabbando di petrolio con la Libia. A questo proposito non bisogna dimenticare quello che è il paradigma del naval  peace-keeping , vale a dire la missione di interposizione del contingente navale della Multinational Force and Observers (MFO), a noi assegnata dal 1982: le Unità del  gruppo navale italiano (Grupnav 10) pattugliano lo Stretto di Tiran per garantire la libertà di navigazione in applicazione degli Accordi di Camp David del 1979 tra Stati Uniti, Israele ed Egitto. D’altronde, la nostra Marina aveva già svolto a più riprese attività di peace- keeping navale a partire dagli anni Ottanta del Novecento in aree extramediterranee. Si pensi, oltre alle operazioni di stabilizzazione in Libano del 1982-84 e del 2006, allo sminamento del Golfo di Suez del 1984, alla protezione del traffico di bandiera durante il conflitto Iran/Iraq del 1987, alla partecipazione all’embargo navale contro l’Iraq del 1991, sino ad arrivare all’Operazione Enduring Freedom nel Mar Arabico del 2004.

Che ruolo e con quali modalità si svolgono le operazioni marittime congiunte a livello europeo nel Mediterraneo? Qual è il peso italiano in queste iniziative?
Rilevante è, come detto, il nostro impegno in queste operazioni, comprese quelle della Nato. Il comando dell’Operazioni “Irini” a noi assegnato in prosecuzione di quello di “Sophia” ne è la dimostrazione. L’approccio italiano è, come si dice, “deterrente” ma non “irritante”, nel senso che è basato su un uso limitato della forza in autodifesa e sull’adozione di misure di confidenza reciproca ad evitare inutili confronti che in mare possano sfociare in imprevisti casus belli, simili agli incontri ravvicinati tra Forze navali greche e turche in Mediterraneo, o tra Forze statunitensi e iraniane nel Golfo Persico.

Presenziare l’area presuppone la presenza di mezzi e uomini adeguatamente preparati: in che condizioni operano le nostre flotte? Il piano di adeguamento della nostra flotta militare è adeguato alla bisogna?
Dopo l’uscita dalla linea operativa di gloriose classi di Unità di sorveglianza come le Corvette “Minerva” o i Pattugliatori “Cassiopea” che per quasi trent’anni avevano garantito la vita dei nostri pescatori nel Canale di Sicilia dall’aggressività delle Marine Nordafricane, le componenti della Marina si stanno riconfigurando. Oltre alla Portaerei “Cavour” che attende il rinnovo della sua componente aerea con i nuovi F35B, sta per entrare in Squadra il “Trieste”, Landing Helicopter Dock (LHD) da 33.000 tonn. con capacità multiruolo e spiccata specializzazione nel settore dell’assistenza medica e della protezione civile. E’ anche in via di completamento l’acquisizione delle Fregate Italo-Francesi FREMM che sostituiranno le vecchie classi di Fregate e Cacciatorpediniere. Mentre è già avviata la costruzione dei nuovi pattugliatori polivalenti d’altura (PPA) della classe Thaon di Revel con funzioni multiruolo, che sostituiranno i Pattugliatori “Soldati” e le Corvette “Minerva”.
Non da ultimo è da citare il potenziamento delle componenti subacquee, idrografiche e cacciamine. Il fatto è che per valutare l’adeguatezza dello strumento navale italiano alla marittimità del nostro Paese bisogna tener conto di vari fattori. Tra di essi vi è proprio quella scarsa marittimità che, come già accennato, porta a sottovalutare i nostri interessi oltremare. Valga per tutti l’esempio della nostra partecipazione alla missione francese EMASOH di sorveglianza della libertà di navigazione nello Stretto di Hormuz, area di indubbio interesse geostrategico e commerciale italiano: annunciata in primo tempo dal Ministro della difesa è stata poi annullata in sede di approvazione della legge di autorizzazione delle missioni all’estero venendo sostituita da una breve attività di sorveglianza antipirateria nel Golfo di Guinea. E’ incontestabile comunque che, a prescindere dalle situazioni contingenti, stretti e proficui sono i contatti tra Marina ed Armamento commerciale. La flotta commerciale italiana è ai primi posti nelle statistiche mondiali, al pari di quella peschereccia che è al terzo posto in Europa. Di qui il costante rapporto di reciproca collaborazione tra la bandiera navale è quella mercantile, ovunque l’Italia sia presente nei mari del mondo! E’ utile a questo punto citare in proposito l’eloquente testo del Codice dell’Ordinamento Militare (art. 111, a ed art 115) dedicato a specifici  compiti della Marina che configurano il coinvolgimento della Forza armata in settori di attività non strettamente militari, in parte rientranti nella “Funzione Guardia costiera”, quali: 1) “la vigilanza a tutela degli interessi nazionali e delle vie di comunicazione marittime al di là del limite esterno del mare territoriale e l’esercizio delle funzioni di polizia dell’alto mare demandate alle navi da guerra negli spazi marittimi internazionali, nonchè di quelle relative alla salvaguardia dalle minacce agli spazi marittimi internazionali, ivi compreso il contrasto alla pirateria”; 2) la sorveglianza per la prevenzione degli inquinamenti nell’ambiente marino; 3) il concorso al Servizio SAR ed alla vigilanza, prevenzione e contrasto dell’immigrazione irregolare.

                                                                                                                                 Giovanni Grande

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