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LUGLIO 2020 pag. 40 - NEWS OBOR

 

Cina, scenari e prospettive per le imprese


La Fondazione Italia Cina ha presentato alla Farnesina, in collaborazione con il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, il suo X Rapporto annuale “Cina. Scenari e prospettive per le imprese”, il documento previsionale che raccoglie ricerche, analisi di rischio e previsioni nel breve-medio periodo sulla Cina. La ricerca è elaborata dal CeSIF, il Centro Studi per l’Impresa della Fondazione Italia Cina.  

Uno sguardo al 2018
L’anno scorso si sono consolidate alcune linee di tendenza emerse nel corso degli ultimi anni. In primo luogo, il rallentamento economico è diventato strutturale. Il tasso della crescita del Pil cinese si riduce ogni anno di qualche decimale di punto, pur restando su valori ampiamente sopra il 6%. Si tratta di una dinamica prevista e che si ripeterà nei prossimi anni, caratterizzati dal tentativo di ridefinire il modello di crescita cinese lungo alcune direttrici: a) equilibrio tra indebitamento e misure di stimolo, b) esigenze di tutela ambientale, c) riqualificazione del tessuto industriale e d) rafforzamento dei consumi. Il contesto di riferimento, dunque, continua a essere quello del New Normal, ovvero il riconoscimento che la Cina si trova in una nuova fase della propria economia – caratterizzata soprattutto da un tasso di crescita più lento – e che il Paese sta affrontando una profonda transizione, che lo porterà ad essere un’economia avanzata e basata in particolare su consumi, servizi e innovazione. Una seconda linea di tendenza ruota intorno alla sempre maggiore importanza dei consumi, al fine di sostenere la crescita economica del Paese in futuro, ed è per questo che sono sempre più incentivati. Un terzo aspetto caratterizzante dell’anno passato è stato il ruolo politico di Xi Jinping che è sì riuscito, a cavallo tra il 2017 e il 2018, a inserire nello Statuto del Partito un “contributo ideologico” con il suo nome e a modificare la Costituzione per permettergli di restare in carica per oltre dieci anni ma, perché ciò avvenisse, è stato necessario modificare il calendario politico che si era definito come prassi nei decenni precedenti. Infine, le tensioni commerciali e, di conseguenza, l’esposizione esterna della Cina, che hanno raggiunto l’apice nella seconda metà dell’anno. Dopo averli preannunciati durante la campagna elettorale, il Presidente Trump ha applicato dei dazi sulle importazioni dalla Cina per riequilibrare la bilancia commerciale, ma avendo in mente il contenimento dell’avanzamento tecnologico. In considerazione di ciò, è peggiorata la percezione all’estero della Cina che, in pieno contrasto con gli Stati Uniti, è stata identificata come rivale sistemico anche dall’Unione Europea. “Questa dinamica ha un effetto negativo di breve periodo sull’avanzamento della Belt and Road Initiative che sta incontrando sempre più scetticismo, perché interpretata da ampie parti della comunità internazionale unicamente come strumento della crescita cinese. Il contrasto, quindi, apre una lunga fase di confronto fra Cina e Stati Uniti sulla leadership economica globale, che porterà alla revisione dei pesi relativi delle maggiori economie mondiali”. 


Graduale crescita nel 2019
È lecito aspettarsi che nel 2019 il tasso di crescita del Pil possa rientrare nel target deciso dal Governo che, in riduzione rispetto agli scorsi anni, è stato fissato in una forbice fra il 6% e il 6,5%. Tuttavia, tale crescita potrà poi variare considerevolmente tra settori e sub-settori, non solo alla luce delle cosiddette “due velocità” che caratterizzano diversi settori e aree, ma anche in considerazione degli imprevedibili effetti distorsivi della guerra commerciale. La ridefinizione delle relazioni commerciali e l’inquadramento degli spazi per la tecnologia cinese in questo ambito sono la principale novità di un quadro nel quale le sfide che il Governo dovrà affrontare sono sostanzialmente immutate. Tra queste si segnalano la sovraccapacità in alcuni settori e un ambiente economico che deve bilanciare i costi nel breve periodo delle riforme messe in atto dal Governo, le quali invece mostreranno successi solo nel lungo periodo. I costi continueranno a crescere, evidenziando la necessità di accelerare le riforme, e nei prossimi cinque anni ci aspettiamo una crescita stabile intorno al 6%, che trainerà reddito pro capite e consumi. Gli investimenti stranieri sono incoraggiati con la riforma del quadro normativo, ma saranno fortemente condizionati dal contesto di generale conflittualità dovuta alla guerra commerciale e tecnologica.   

    
La Belt and Road Initiative nel 2019
Il 26 e il 27 aprile si è tenuta a Pechino la seconda edizione del Belt and Road Forum, replicando la prima edizione del 2017. Tuttavia, se nel 2017 vi era curiosità, nel 2019 si è avuta invece una maggiore diffidenza, dovuta alla fase di competizione strategica con gli Stati Uniti e alle accuse di poca trasparenza degli investimenti cinesi. Xi Jinping sembra riconoscere questo cambio di percezione e ha promesso nel suo discorso di apertura maggiore trasparenza e partecipazione delle aziende straniere ai progetti all’interno di BRI. Sebbene in passato la Cina avesse già fatto promesse di questo tipo, si ha l’impressione che ora sia di interesse cinese inserire la BRI nel contesto dei modelli di finanziamento internazionale. Mancare questo obiettivo comporterebbe un aumento dei costi della globalizzazione cinese rappresentata dalla BRI – che si tradurrebbe in minori Paesi che aderiscono e in resistenze agli investimenti – con la conseguenza di danneggiare l’economia nazionale. Secondo fonti cinesi sarebbero 125 i Paesi e 29 le organizzazioni internazionali che avrebbero firmato un totale di 173 documenti di cooperazione. Per quanto riguarda gli investimenti, le aziende cinesi avrebbero impegnato più di 90 miliardi di dollari nei Paesi BRI, dai quali sarebbero arrivati circa 40 miliardi di dollari di investimenti in Cina.


L’interscambio con l’Italia
Andando ad analizzare la ripartizione settoriale dell’interscambio tra Italia e Cina, si possono notare alcune tendenze generali. Per quanto riguarda i dati delle Dogane cinesi, nel 2018 il settore di maggiori esportazioni cinesi in Italia si riconferma quello dei macchinari e delle attrezzature elettriche, che raggiungono la cifra di 7,027 miliardi di dollari, mentre al secondo posto si trova la voce macchinari e tecnologia nucleare per la cifra di 6,095 miliardi di dollari. Secondo l’Istat, invece, per l’export cinese in Italia si segnala un netto vantaggio dei macchinari e apparecchiature (3.849 milioni), seguito da articoli di abbigliamento (943,55 milioni), e da articoli in pelle (906,27 milioni). Per quanto riguarda l’export italiano in Cina, sempre secondo i dati delle Dogane cinesi, i due settori trainanti restano quello dei macchinari e delle tecnologie nucleari (valore 5.042 milioni, + 8,6%) e dei prodotti chimici (2.884 milioni, +5,6%). Il tasso di crescita più elevato per il biennio 2017/2018 riguarda invece l’export di prodotti tessili (24,6%). I dati italiani forniti da Istat segnalano invece tra le prime tre voci per l’import di prodotti cinesi in Italia i computer e i prodotti di elettronica (5.291 milioni) al primo posto, seguiti da macchinari e apparecchiature (per un valore di 3.588 milioni) e da apparecchiature elettriche e per uso domestico non elettriche (3.491 milioni). Per quanto riguarda l’export cinese in Italia si segnala infine un netto vantaggio dei macchinari e apparecchiature (3.849 milioni), seguito da articoli di abbigliamento (943,55 milioni), e da articoli in pelle (906,27 milioni).


Le misure proposte per il sistema Italia
In ambito più specifico, la Fondazione Italia Cina propone di adottare le seguenti misure: la creazione di un veicolo finanziario supportato dalle agenzie di sviluppo dello Stato che raccolga capitali in favore delle imprese italiane che si affacciano al mercato cinese per consentirne l’accesso con capitali da investire e quindi sopperire al deficit dimensionale; la promozione nell’ambito della Belt and Road Initiative di programmi di sviluppo non solo logistici ma più in generale di connettività euro-asiatica, facendo leva su Trieste e Genova come porti di accesso all’Europa centro settentrionale e a quella occidentale e su Venezia come base europea delle istituzioni finanziarie private e pubbliche cinesi e di quelle italo-cinesi che accompagneranno la realizzazione di questi programmi di interconnettività; la ricognizione dei settori industriali esposti nei confronti di possibili decisioni di limitazione al commercio e agli investimenti da parte della Cina, in risposta ad analoghe eventuali misure adottate da Stati Uniti ed Unione Europea in un contesto di fallimento del negoziato commerciale.
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