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GIUGNO 2020 PAG. 52 - La Fragilità di scena a Palazzo Fondi







È intitolata Fragile la personale di Antonella Romano, visitabile dal 3 al 31 luglio 2020, presso Palazzo Fondi, in via Medina 24, a Napoli. Prodotta da Le Nuvole/Casa del Contemporaneo e a cura di Anna Cuomo, la mostra si colloca nella sezione dedicata alle arti visive della XIII edizione del Napoli Teatro Festival Italia, la quarta diretta da Ruggero Cappuccio, realizzata con il sostegno della Regione Campania e organizzata dalla Fondazione Campania dei Festival, presieduta da Alessandro Barbano.

L’esposizione si struttura in un percorso attraverso cinque sale, come una successione di scene teatrali che compongono un atto unico, rendendo lo spettatore protagonista. La fragilità è il tema centrale, condizione che tutti accomuna e che tutti nascondono. L’invito dell’artista è, in questa indagine, riscoprire l’essere fragile come opportunità, come strumento attraverso cui ricucire le fratture dell’anima e ritrovarsi con sguardo rinnovato di fronte a se stessi.

“In Fragile Antonella Romano plasticizza la sua interiorità in sculture delicate, come la tecnica del ricamo con cui sono realizzate, ma stabili e solide, come il fil di ferro, materiale che le costituisce,” scrive la curatrice Anna Cuomo. “La spinta creativa la rende regista di una mostra assimilabile ad una pièce autobiografica in cui lo spettatore può immediatamente ribaltare la sua posizione e entrare personalmente in scena, riuscendo a calarsi perfettamente nella parte del protagonista”.

Medium elettivo della Romano è il fil di ferro che intreccia come nel lavoro a maglia, ma esclusivamente con l’uso delle mani. Una pratica certosina per la creazione di “sculture” che, in alcuni casi, raggiungono anche notevoli dimensioni. A cominciare dall’elemento meno malleabile per antonomasia, il filo di ferro, da cui maglia dopo maglia prendono origine forme morbide, anse e incavi di donne, fiori dai lunghissimi steli e piccolissime farfalle.

Cinque spazi fisici divengono il riflesso di altrettanti luoghi dell’anima, ciascuno dominato da un’installazione dedicata ad una fase di evoluzione personale dell’artista, la quale parte dalla rappresentazione della fragilità per superarla e per mostrare che, in quanto valore umano e naturale, è parte di tutti. La possibilità di svelare questa condizione, non si esaurisce attraverso le opere ma si costituisce nella specificità della scena che accoglie e permette allo spettatore di entrare in contatto con se stesso: le sculture suggeriscono stati d’animo, evoluzioni e superamenti, un percorso che conduce alla libertà e che parte dalla sovversione della natura.

Il primo spazio è quello dell’attraversamento di una soglia, l’accesso ad un mondo in cui è immediatamente dichiarato il ribaltamento dei paradigmi di percezione della natura, che diviene una presenza necessaria ma al contempo portatrice di un inquietudine. Il fiore in fil di ferro che cresce da un sanpietrino, tramite una sottile striscia di terra brulla si riconnette al prato appeso al soffitto, da cui hanno origine altrettanti fiori metallici, capaci di crescere al contrario. La dicotomia tra il fiore che nasce dal lastricato e i fiori pensili che sembrano volersi ricongiungere ad una dimensione più solita e solida, annunciano quanto le esistenze e le percezioni di realtà siano soggettive e permette di entrare, come dal buco del bianconiglio, nella tana di Alice. Nella seconda sala l’intimità straborda e si cristallizzata sotto forma di sale, il riferimento dell’artista alle lacrime, alla salinità del mare nella sua perfetta vastità e al suo essere spesso teatro di sofferenza. Su questo tappeto scintillante, il minerale, solido ma immediatamente solubile, accoglie l’accumulo di altri fiori metallici adagiati su di esso che suggeriscono una sensazione di abbandono e riconnettono alle paure più profonde, nascoste sotto una superficie che qui è volutamente mostrata. Ci si sposta nello spazio successivo dove tutto diviene forma, e le sculture di mezzi busti di donna occupano una porzione di sala modulata dalla luce e da ulteriori elementi naturali, ancora la terra e alcuni piccole e resistenti piantine che crescono come un organo nei busti sospesi. Questi corpi fioriti ci proiettano in un altra condizione che riconnette alla maternità, nel senso di nascita come rigenerazione, della possibilità - dopo l’accettazione dei limiti e della manifestazione della sofferenza - di andare verso una coscienza superiore che faccia immaginare una seconda possibilità. E se i busti sospesi, così leggeri e fluttuanti, suggeriscono ancora un senso di incompletezza, la condizione di staticità è raggiunta dalle altissime figure di donna che si ergono dal pavimento come steli lunghissimi. Effimeri e stabili, rassicuranti nella loro dimensione di freddezza e distanza ma inglobanti nel loro allestimento in cerchio, accolgono lo spettatore per restituirgli un senso di ritrovata forza e potenza, di possibilità di ascensione. Un percorso catartico che si conclude nel rispecchiamento: la presenza di un vero e proprio specchio in cui guardarsi con un occhio nuovo, con la nuova consapevolezza acquisita durante il percorso.

“La mia relazione con l’arte nasce per mezzo del teatro, il quale non è soltanto una metafora della vita, ma una tecnica di svelamento” spiega l’artista. “L’attore coincide con l’uomo per cui il lavoro attoriale prevede un attraversare, un conoscere e uno svelare. L’importanza della vita, le relazioni, lo sguardo verso la creatività, la negazione, la malattia, il mutamento sono il respiro della ricerca scenica ed artistica. La consapevolezza e la forza dell’espressione corporea in uno spazio scenico mi hanno portato a porre sempre più una particolare attenzione all’essenzialità di un corpo in movimento, in uno spazio vuoto, fino a sentirne la necessità di trascenderlo e plasmare la materia utilizzando l’esperienza acquisita. Abito lo spazio che sarà abitato dalla materia per concepire l’opera, sentendo l’area con cui dovrà dialogare la mia creatura. Il tutto nasce dal bisogno di relazionarsi, dalla necessità dell’incontro, per cui non è un lavoro nello spazio, ma un lavoro con lo spazio”.
Il catalogo di Fragile, a cura di Anna Cuomo e con foto di Amedeo Benestante, è edito da ARTEM.
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