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FEBBRAIO 2020 PAG 56 - ISTAT, il tessuto microimprese verso la dimensione media







Tra il 2011 e il 2018 si è registrato una diminuzione dell’1,3% del numero di imprese (-13mila) e un incremento dell’1,3% degli addetti (+160mila); tra il 2001 e il 2011 le imprese di 3 e più addetti crescevano invece dell’8,3% (+80mila) e gli addetti del 5,9% (+700mila). L’evoluzione della struttura dimensionale mostra una flessione del numero di microimprese (con 3-9 addetti) e della relativa occupazione tra il 2011 e il 2018, sia in termini assoluti sia in relazione al loro peso sul complesso delle imprese. “Si tratta di una dinamica opposta a quella del decennio precedente, segnale di una recente evoluzione del sistema produttivo verso una dimensione media maggiore”. Contestualmente, è aumentato il peso occupazionale delle imprese di grandi dimensioni (con 250 e più addetti), passato dal 27% del 2011 al 28,3% del 2018 (era il 26,8% nel 2001) e trainato dalle imprese con 500 e più addetti.

Sono alcuni dei primi risultati del Censimento permanente delle imprese dell’Istat, a quattro mesi dalle rilevazioni dirette, indagine che ha interessato un campione di circa 280 mila imprese con 3 e più addetti, rappresentative di un universo di poco più di un milione di unità, corrispondenti al 24,0% delle imprese italiane, che producono però l’84,4% del valore aggiunto nazionale, impiegano il 76,7% degli addetti (12,7 milioni) e il 91,3% dei dipendenti, costituendo quindi un segmento fondamentale del nostro sistema produttivo. I due terzi delle imprese (821 mila, pari al 79,5% del totale) sono microimprese (con 3-9 addetti in organico), 187 mila (pari al 18,2%) sono di piccole dimensioni (10-49 addetti), mentre le medie (con 50-249 addetti) e le grandi imprese (con 250 addetti e oltre) rappresentano il 2,3% delle imprese osservate (24 mila unità), di cui 3 mila grandi. Più della metà delle imprese è attiva al Nord (il 29,2% nel Nord-ovest e il 23,4% nel Nord-est), il 21,4% al Centro e il 26,0% nel Mezzogiorno.

Spicca il terziario, l’industria perde terreno
In generale, l’evoluzione settoriale di imprese e addetti conferma la tendenza verso una crescente terziarizzazione delle attività produttive: nel 2011 le imprese di 3 e più addetti appartenenti ai servizi costituivano il 65,6% del totale, nel 2018 raggiungono il 70,3%, arrivando a impiegare il 64,0% degli addetti, quota di 5 punti percentuale superiore a quella del 20112. La quota di imprese appartenenti all’industria in senso stretto scende invece dal 20,7% nel 2011 al 18,9% nel 2018, con un lieve calo dell’incidenza in termini di addetti (dal 31,3% nel 2011 al 29,2% nel 2018). Nelle costruzioni si passa dal 13,7% al 10,7% per le imprese e dall’8,9% al 6,8% per gli addetti.  Nell’arco di un ventennio, dal 2001 al 2018, si registra una crescita dei settori dei servizi pari a 158mila imprese e oltre 2 milioni di addetti, di particolare intensità nell’ambito dei servizi di alloggio e ristorazione e dei servizi alle imprese. Allo stesso tempo il settore dell’industria in senso stretto ha perso 63mila imprese e oltre 1 milione di addetti e quello delle costruzioni circa 30mila imprese e 220mila addetti. Complessivamente, in venti anni il peso occupazionale delle imprese dei servizi è aumentato di circa 20 punti percentuali. “L’analisi delle caratteristiche strutturali, dei comportamenti e delle strategie delle imprese industriali e dei servizi desumibile dai nuovi dati censuari si colloca quindi in un contesto evolutivo di grandi cambiamenti strutturali, con marcate tendenze di medio e lungo periodo che interagiscono con dinamiche cicliche intense e un elevato e persistente grado di instabilità su scala globale”.

Tre imprese su quattro controllate da una persona o da una famiglia
Il sistema produttivo italiano si caratterizza per la presenza consistente di imprese controllate da una persona fisica o una famiglia: con riferimento al 2018, esse rappresentano il 75,2% delle unità produttive italiane con almeno 3 addetti (ovvero più di 770mila, un ammontare simile a quello osservato all’inizio del decennio) e il 63,7% di quelle con 10 addetti e oltre (più di 135 mila imprese). All’aumentare della dimensione dell’impresa si rileva una diminuzione della presenza del controllo individuale e familiare, che tuttavia permane significativa anche nei segmenti dimensionali più elevati: si passa infatti dal 78,2% delle microimprese (3-9 addetti) al 65,6% delle piccole (10-49 addetti), al 51,0% delle medie (50-249 addetti) per arrivare al 37,0% delle grandi (250 addetti e oltre). Non solo il controllo ma anche la gestione aziendale di queste imprese è, nella maggior parte dei casi, di competenza dell’imprenditore o di un membro della famiglia proprietaria: se si considerano le sole unità con 10 addetti e oltre, infatti, ciò avviene in più del 95% dei casi mentre, nel complesso, solo il 3% circa delle unità affida la gestione a un manager selezionato all’interno o all’esterno dell’impresa. La presenza di manager al vertice dell’impresa assume incidenze significative solo nelle medie e grandi imprese: risulta inferiore al 5,0% nelle piccole imprese (con 10-49 addetti), cresce al 9,2% in quelle medie (50-249 addetti), e al 21,2% in quelle con 250 addetti e oltre. Inoltre, per più di una impresa su due (l’80% circa nel caso delle grandi) la gestione manageriale è associata all’appartenenza dell’azienda a un gruppo d’impresa. “Forme di controllo di tipo familiare caratterizzano più della metà delle unità in oltre due terzi dei settori produttivi e sono diffuse su tutto il territorio, risultando una realtà più rilevante in alcuni comparti tradizionali manifatturieri. All’aumentare della dimensione aziendale l’incidenza delle imprese che dichiarano difficoltà nella transizione tende a diminuire, male criticità legate al trasferimento di competenze e all’assenza di eredi o successori mantengono un peso relativamente elevato”.

La difesa della posizione di mercato primo obiettivo strategico delle imprese

Con riferimento alla dimensione strategica, tra il 2016 e il 2018 la quasi totalità delle imprese con almeno 10 addetti (90,4%) ha indicato tra i principali obiettivi strategici la difesa della propria posizione competitiva, il 69,9% l’ampliamento della gamma dei prodotti venduti e il 68,2% l’aumento delle attività in Italia. Queste strategie sono risultate prevalenti per tutte le imprese indipendentemente dalla classe dimensionale di appartenenza. L’obiettivo dell’espansione dell’attività produttiva in Italia per il 25,1% delle imprese si è accompagnato a quello di aumentare l’attività all’estero: in particolare hanno dichiarato un obiettivo di espansione in entrambi i mercati il 19,8% delle piccole imprese e poco più del 34% delle medie e grandi unità.

Nel complesso, l’attività all’estero, così come l’accesso a nuovi segmenti di mercato, sono risultate strategie più frequenti tra le imprese di maggiore dimensione, mentre il ridimensionamento delle attività è risultato poco diffuso tra tutte le imprese. “La grande maggioranza delle imprese dichiara di aver raggiunto, in parte o pienamente, gli obiettivi perseguiti nel triennio considerato. Tuttavia, quelle che hanno pienamente raggiunto gli obiettivi rappresentano una minoranza: quasi la metà per l’obiettivo della difesa della propria posizione competitiva, circa il 40% per l’ampliamento della gamma di beni o servizi offerti e per l’internalizzazione di attività, tra il 25% e il 30% per l’aumento dell’attività in Italia o all’estero, per la penetrazione in nuovi segmenti di mercato o per l’attivazione di nuove collaborazioni”. 

Una impresa su tre sperimenta cambiamenti di processo, prodotto o mercato, soprattutto al Nord
Tra il 2016 e il 2018 il 34,6% delle imprese italiane ha sperimentato processi di sviluppo e innovazione del business aziendale (modernizzazione tecnologica, diversificazione dell’attività principale, transizione verso una nuova area di attività e trasformazione innovativa della propria attività). La modernizzazione tecnologica delle attività dell’impresa risulta il processo più diffuso, (28,4%), seguito da attività di diversificazione attraverso la creazione di una nuova attività oltre quella prevalente (10,1%).

Cambiamenti più complessi, basati su transizioni o trasformazioni innovative del business aziendale, coinvolgono poco meno del 10% delle imprese (rispettivamente il 7,4% e il 3,4%). Osservando il dettaglio settoriale, le imprese che hanno avviato processi di cambiamento aziendale sono presenti in particolare nelle attività dell’informatica (56,4%), nelle attività finanziarie (51,5%), sanitarie/assistenza sociale (51,4%), istruzione (48,2%), attività professionali (46,6%). Nella manifattura il cambiamento ha riguardato il 42,9% delle imprese. Dal punto di vista territoriale, le imprese con un processo di sviluppo sono pari al 37,3% nel Nord-est e al 36,0% nel Nord-ovest; incidenze inferiori si rilevano nel Centro e nel Mezzogiorno (in entrambi i casi al 32,5%).
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