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OTTOBRE 2019 PAG. 41 - Cresce la presenza cinese in Africa anche nel settore sicurezza






Non solo attore politico ed economico. La Cina sta conquistando l’Africa, prima sulla scorta della sua strategia “going out” lanciata ufficialmente nel 2001 e successivamente con i massicci investimenti nella BRI, anche nel settore della sicurezza.

A rivelarlo un recente documento del Parlamento europeo (China’s growing role as a security actor in Africa) che analizza il crescente coinvolgimento di Pechino in iniziative di difesa dei suoi concittadini impegnati nel continente.  “La presenza di cittadini cinesi e di beni economici in Africa è cresciuta notevolmente a causa dell’espansione degli scambi commerciali e dei progetti infrastrutturali finanziati dalla Cina nei paesi africani,” spiega il documento. “Molti di questi paesi sono afflitti da conflitti armati intrastatali, terrorismo jihadista o pirateria marittima al largo delle loro coste. Il numero crescente di attacchi violenti contro i lavoratori cinesi, le richieste di azione da parte del pubblico interno e le crescenti perdite economiche sono alcuni dei fattori che hanno costretto il governo a reagire”.

Gli strumenti scelti dal gigante asiatico sono “un impegno selettivo e incrementale nella cooperazione bilaterale, regionale e internazionale in materia di pace e sicurezza, sfumando, caso per caso, i ristretti confini del suo quadro normativo di politica estera, compreso il principio di non ingerenza negli affari interni dei paesi stranieri”. Una vera e propria novità rispetto ad uno dei fattori centrali della crescente influenza cinese presso il cosiddetto terzo mondo. Come in altri campi, la Cina ha perseguito un duplice approccio. Da un lato, ha contribuito alle strutture e agli strumenti multilaterali esistenti per promuovere la pace e la sicurezza, comprese le missioni antipirateria condotte  al largo del Corno d’Africa su mandato dell’ONU. Partecipazione che ha fornito, tra l’altro,  “il pretesto per accelerare la costruzione della sua massiccia flotta d’altura, per essere presente nell’Oceano Indiano e oltre e per allestire la sua prima base militare d’oltremare, a Gibuti”. “D’altro canto, ha ampliato la sua presenza militare impegnando i paesi africani a livello bilaterale attraverso esercitazioni congiunte, addestramento militare e costruzione di infrastrutture militari e a livello multilaterale attraverso i nuovi forum Cina-Africa sulle questioni di sicurezza”.

In questo contesto, conclude il report, “resta da vedere come la futura cooperazione in materia di sicurezza UE-Cina, che finora è ancora agli inizi, sarà complementare o competitiva nella ricerca di soluzioni africane ai problemi africani”.

Una BRI con meno sussidi, Pechino teme lo scoppio della bolla
Giro di vite sulle sovvenzioni dei governi regionali ai viaggi in treno in direzione Europa lungo la BRI. In linea con l’obiettivo fissato al 2022 di eliminare ogni sussidio per rendere il traffico merci euroasiatico su ferro in grado di stare in piedi da solo le autorità di Pechino imporranno a partire dall’anno prossimo un tetto agli aiuti del 30% del costo totale per ciascun servizio.
La decisione ridimensiona ulteriormente il limite fissato al 40% imposto formalmente alla fine del 2018 e reso operativo solo negli ultimi mesi di quest’anno. E fa il paio con un’ulteriore restrizione: l’obbligo di far partire in direzione Ovest solo treni a pieno carico.

Quest’ultima risoluzione, in vigore dal 2017, è riuscita a mettere a freno il comportamento anomalo di molte provincie cinesi che, interessate a gonfiare le loro statistiche per ottenere sostegno dal governo centrale, finanziavano convogli con un pochissimi container pieni. Ad oggi, nei primi sei mesi del 2019 i sette centri principali della BRI hanno registrato un rapporto di container caricati di oltre il 94 % sulle tratte internazionali dirette a Ovest, con una movimentazione verso l’Europa pari al 73% del totale.

La discrepanza tra l’alto tasso delle operazioni ferroviarie rispetto alla domanda effettiva del mercato è finita sotto la lente del Chinese Business Journal, organo controllato dalla potente Accademia delle scienze sociali che ha sottolineato le distorsioni di un sistema di sostegno basato sul numero dei viaggi. Mentre il ministero delle Finanze prevede un massimale indicativo di 0,8 dollari per container/chilometro, l’integrazione fornita dalle amministrazioni locali arriva fino a 123mila dollari per il singolo viaggio di un intero convoglio.

Alla base della difformità di tonnellaggio che viaggia lungo le due direzioni della BRI (molti servizi dall’Europa non sono riusciti a trovare la necessaria continuità a causa degli ancora eccessivi costi del trasferimento ferroviario) la scelta di ridurre le sovvenzioni, fino ad azzerarle, punta ad evitare lo scoppio di una bolla speculativa in un momento di fondamentale consolidamento dell’iniziativa strategica cinese. Stando alle conclusioni emerse dall’ultimo RailFreight Summit di Danzica la decisione porterà alla scomparsa delle aziende più piccole, con spedizioni irregolari. Un assestamento degli equilibri del mercato che, se da un lato porterà ad un aumento delle tariffe, dall’altro contribuirà a riallineare domanda e offerta verso livelli di servizi più stabili ed efficienti.
                                                                                                                               Giovanni Grande
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