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AGOSTO 2019 PAG. 52 - Autotrasporto, tra competizione e nuovi modelli di business



In Europa, tre quarti del trasporto merci terrestre viaggia su strada (76,4%) e meno di un quinto (17,4%) su ferrovia; la quota restante (6,2%) si muove attraverso vie d’acqua interne (modalità non utilizzata in Italia che produce uno split modale ancora più sbilanciato a favore della strada: 85,5% contro 14,5%). Sulle strade europee circolano più di 13 milioni di veicoli pesanti, due terzi dei quali sono mediamente impiegati per trafici domestici, mentre il restante terzo è utilizzato per trasporti internazionali, con enormi differenze tra i vari Stati. I veicoli pesanti (HDV) rappresentano circa il 4% dei veicoli in circolazione all’interno dei confini dell’Unione, ma sono attualmente responsabili
del 30% delle emissioni di CO2 (dati ICCT). Tre quarti del totale dei trasporti su strada, in termini di tonnellate-kilometro, viene effettuato in sette Paesi: Germania (18%), Polonia (14%), Spagna (11%), Francia (10%), Regno Unito (9%), Italia (7%) e Olanda (4%). 

Sono i dati di riferimento da cui prende le mosse il report “L’autotrasporto italiano tra crisi congiunturale, competizione internazionale e nuovi modelli di business”, documento realizzato da Contship Italia Group per analizzare il difficile momento che continua ad attraversare il settore del trasporto su gomma italiano “stretto tra il rallentamento della crescita a livello macroeconomico, la competizione con i trasportatori esteri e la necessità di rinnovare il proprio modello di business, per rispondere alle sfide imposte dal mercato e dall’evoluzione tecnologica”.

La situazione italiana
“Dai dati elaborati da Eurostat, si scopre che nel 2016 il trasporto italiano ha movimentato su scala nazionale 881.330 migliaia di tonnellate di merce, totalizzando oltre 100.200 milioni di tonnellate-kilometro, con una distanza media percorsa per ogni viaggio pari a 114 km. Per quanto riguarda le attività di trasporto internazionale, effettuate da aziende italiane, si parla invece di 20.170 migliaia di tonnellate movimentate e 12.355 milioni di tonnellate-kilometro, con una distanza media percorsa per ogni viaggio che supera i 600 km, sensibilmente più alta di quanto registrato in Germania, Francia e Olanda, e in linea invece con quanto registrato in Croazia, Slovacchia, Slovenia e Repubblica Ceca”. In questo contesto competitivo, il nostro paese soffre una dinamica di aumento dei costi (carburante e pedaggi) e di una progressiva riduzione della competitività. “La vicinanza a Paesi fonte di competizione, caratterizzati da un minore costo del lavoro (Slovenia, Croazia, Ungheria e Romania) non aiuta gli operatori italiani, che hanno registrato, tra il 2008 e il 2016, un calo del volume d’affari del 5% a livello nazionale, e del 10% a livello internazionale”. A pesare anche la distribuzione territoriale dei servizi: “il 90% circa dell’attività di trasporto pesante dei trasportatori italiani ha luogo all’interno dei confini nazionali, e solo il 10% riguarda traffici internazionali”.

Carenza di autisti qualificati
“Da un report dell’associazione tedesca DSLV, si scopre che in Germania due terzi degli autisti andranno in pensione nei prossimi 15 anni, e che già oggi vi è nel Paese una carenza di circa 45.000 autisti, dovuta al fatto che 30.000 operatori abbandonano ogni anno la professione, mentre appena 2.000 persone ottengono, nello stesso periodo, una qualifica professionale per la conduzione di veicoli pesanti. La situazione è altrettanto grave in Francia, con una carenza di circa 20.000 autisti, e in Italia, dove le stime delle associazioni di settore parlano di almeno 15.000 autisti mancanti”. Stando ai trend registrati da varie ricerche il sistema rischia il collasso. Al centro di questa criticità la durezza del mestiere, orari iper-flessibili e lunghe attese, basse remunerazioni.

Evoluzione del business
Parallelamente agli sforzi di contenimento legati alla manodopera emerge una trasformazione dei modelli di business: da carrier a freight forwarders, “agendo come organizzatori ed aggregatori, capaci di acquistare da terzi segmenti della catena del trasporto (integrando ad esempio servizi intermodali all’interno del’offerta proposta ai clienti)”. Allo stesso tempo sembra resistere una quota di operatori cosiddetti “padroncini”, che sono invece praticamente scomparsi dal panorama del trasporto internazionale, negli altri Paesi europei. “Il combinato composto dei trend sopradescritti ha portato ad una completa marginalizzazione dei vettori italiani per le direttrici internazionali da e per l’Italia e un incremento dei fenomeni del cabotaggio sul territorio nazionale da parte dei vettori esteri”. 

I motivi della crisi
La sostenibilità dei modelli di business tradizionale non può più essere arginata con strategie di contenimento dei costi (compressione dei salari e utilizzo di manodopera a basso costo, dumping sociale, allungamento del ciclo di vita dei mezzi). La presa di consapevolezza da parte dei cittadini e dei policy-maker europei, delle esternalità negative legate all’utilizzo indiscriminato della modalità stradale “impone la necessità di ripensare radicalmente l’assetto della supply chain”. “La fisiologica resistenza al cambiamento dei soggetti coinvolti può però essere superata, attraverso uno schema efficace di incentivi e disincentivi economici, che permetta di riorganizzare il comparto, introducendo innovazioni tecnologiche e operative sostanziali”.

Possibili soluzioni
“Dal punto di vista organizzativo, il consolidamento aziendale può permettere agli operatori più performanti di raggiungere la massa critica necessaria a rendere possibili gli investimenti utili ad ammodernare le flotte, sperimentare carburanti e sistemi di propulsione alternativi, come l’LNG e i motori elettrici, e nuovi modelli di trasporto, come il platooning, oltre all’ottimizzazione dei coefficienti di carico e alla riduzione dei percorsi a vuoto, che rimangono gli elementi di ottimizzazione più facilmente perseguibili nel breve periodo”. Rimane il nodo legato alla ridistribuzione del traffico pesante che dovrebbe puntare sulla “flessibilità del vettore stradale per servire in maniera efficace la distribuzione di primo e ultimo miglio”. Per lo shift modale un caso di successo a cui quardare è quello della Svizzera che è riuscita a spostare una quota rilevante di traffico merci dalla strada alla ferrovia, grazie ad un insieme di policy innovative e finanziamenti che incentivano e facilitano la conversione, oltre a politiche di disincentivazione del trasporto su strada, derivanti da restrizioni orarie e dall’introduzione di una tassa sul trasporto di merci pesanti. Tra i maggiori ostacoli da affrontare i maggiori costi per l’adeguamento degli equipaggiamenti (30% in più per un semirimorchio intermodale a cui va aggiunto l’extra-costo della manutenzione), l’adeguamento delle infrastrutture (profilo fino al P410), i limiti legati alla puntualità dei caricatori in una catena intermodale.

La responsabilità sociale
“La crescente attenzione ai temi della sostenibilità, intesa non soltanto come attenzione ai temi ambientali, ma come approccio di lungo periodo allo sviluppo economico e sociale, rende necessaria un’accelerazione del cambiamento in atto, anche negli altri Paesi europei”. La sfida legata all’evoluzione del sistema va intesa “come un’opportunità irrinunciabile, concreta e alla portata dei governi, degli operatori e dei trasportatori più lungimiranti”. Da qui la necessità per i decisiori politici di aprire un dialogo costruttivo con tutti i soggetti in campo per l’introduzione di incentivi per orientare gli investimenti verso le modalità di trasporto più sostenibili. Tra gli interventi proposti “agevolazioni dedicate in maniera specifica all’acquisto di mezzi dedicati all’intermodalità, l’estensione delle fasce orarie di circolazione anche ai weekend per i mezzi in transito da e verso i terminal intermodali, e la semplificazione nella gestione documentale delle unità di carico che comportano un superamento delle 44 tonnellate su strada, attualmente assimilate in tutto e per tutto ai trasporti eccezionali, per i quali sono necessari permessi speciali, scorte dedicate e notifiche del percorso del carico”.
Eugenia De Cesare
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