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AGOSTO 2019 PAG. 46 - Quadro in chiaroscuro del commercio internazionale


La fase di rallentamento dei tassi di crescita del Pil mondiale, insieme alle dinamiche frenanti che derivano dalle incertezze sulla Brexit e dagli orientamenti protezionistici assunti dalle politiche commerciali in diversi paesi, a partire dagli Stati Uniti, restituiscono un quadro in chiaroscuro sull’andamentoo complessivo del commercio internazionale. Nel 2018 gli scambi di beni e servizi sono cresciuti del 3,8%, a fronte del 4,6% dell’annata precedente, mentre le previsioni sul 2019 (3,4%, fonte FMI) rischiano una rivisitazione al ribasso in caso di prosecuzione delle presenti tensioni (-1,6% entro il 2021 sulle stime correnti stando a dati OCSE). È il quadro d’insieme da cui parte il XXIII Rapporto ICE sul commercio estero presentato a Napoli, le cui analisi confermano la posizione strategica dell’export per la nostra economia, con un contributo al Pil quantificabile nel 32% e un saldo positivo della bilancia commerciale di 44 miliardi di euro. “Nel 2018 la crescita delle esportazioni italiane è stata trainata dal mercato dell’Ue (+4,1%) più che dalle aree extra Ue (+1,7%) ma aumenti consistenti sono stati registrati anche in India, Stati Uniti e Canada”. A influenzare le performance extraeuropee l’apprezzamento dell’euro e lo stato di debolezza di mercati di sbocco nel Mediterraneo e nel Medio Oriente. Con una quota di mercato in Cina ancora limitata (0,9%, quarto partner commerciale europeo) da segnalare l’incremento delle esportazione nel Mezzogiorno (14,7%), favorito da fattori specifici come il valore di prodotti raffinati del petrolio esportati dal Sud, il cui valore complessivo (11%) rimane ancora marginale rispetto al resto del paese (73% Nord, 16% Centro).

Michele Geraci (Sottosegretario, MISE). Per valorizzare l’esportazione del made in Italy il sistema Paese deve perseguire una strategia differenziata basata sulla distinzione tra mercati “core” e “satellite”. “I Paesi core sono i cosiddetti mercati tradizionali, più maturi, dove dobbiamo esportare le nostre esportazioni, come Usa, Francia, Germania e UK e dove i tassi saranno interessanti, ma pure sempre a cifre singole; dall’altra parte ci sono i Paesi satellite, dalle grandissime potenzialità di crescita, come India, Cina, Giappone, Cora del Sud, Vietnam, Indonesia e in generale il Sud Est asiatico”. Per centrare l’obiettivo sarà necessario fare leva su tre punti: logistica, e-payment, investimenti in tecnologia. “La blockchain, ad esempio, va implementata come strumento di difesa dell’eccellenza italiana”. Mentre, “pur mantenendo alta la guardia sulle acquisizioni in territorio italiano, va favorita la presenza in incoming di investimenti, in particolar modo greenfiled”. Attenzione anche all’impostazione delle politiche commerciali comunitarie che andrebbero reinderizzate per evitare contraccolpi su un singolo paese. “L’approccio top-down punta a massimizzare il benessere complessivo dei 28 membri dell’Unione. E’auspicabile riavvicinare le istituzioni alla base produttiva per evitare le possibili criticità”. Infine, le iniziative concrete dei prossimi mesi come il Global Startup Program, sorta di programma Erasmus “per favorire lo sviluppo delle piccole e medie imprese italiane che verranno formate e seguite con lo scopo di promuovere la loro crescita e far conoscere loro in mercato internazionale”. “Sempre in sostegno alle aziende a novembre partirà la High Street Italy, iniziativa complementare alle fiere tradizionali, per consentire a tutte le PMI italiane di avere un ulteriore spazio espositivo anche al di fuori degli appuntamenti annuali già in programma”.

Carlo Maria Ferro (Presidente, ICE). “L’export italiano è aumentato del 16,9% nel periodo 2008-2018, sebbene il Pil italiano a fine anno scorso fosse ancore del 3,1% inferiore al periodo pre-crisi. Inoltre, nei primi mesi del 2019, secondo i dati Istat, la sua crescita è stimata al 4%”. In questo contesto, caratterizzato da una forte concentrazione (il 60% degli scambi riguarda solo tre Paesi: Germania, Francia e Usa), diventa strategica la promozione: “andare alla ricerca di nuovi mercati anziché puntare ad erodere le quote dei nostri competitori”. Una scelta che, considerata l’incidenza di piccole e medie realtà che caratterizza il nostro tessuto produttivo, non può che passare anche dall’assistenza all’esportatore “abituale”. “Le sfide sono molteplici e il piano d’azione dell’ICE prevede un focus su tre sfide decisive: la digitalizzazione, la sostenibilità e i giovani. Tre paradigni che si incontrano nelle esigenze del moderno consumatore, soprattutto i cosiddetti Millenials ela Generazione Zeta; e nelle esigenze delle imprese, in particolare startup e PMI, soprattutto del Mezzogiorno, che devono compiere il salto da ‘esportatori occasionali a esportatori sistematici’”. Spazio, dunque, oltre ai settori tradizionali: moda, agroalimentare, design e meccanica al contributo in termini di innovazione. “L’Italia può presentarsi sui mercati internazionali anche come partner tecnologico per l’evoluzione sostenibile e digitale dei modelli di sviluppo economico di molti paesi. Implementeremo sempre di più iniziative di formazione per export manager sul territorio sia per l’integrazione di filiera sia per la crescita delle startup”.

Gian Carlo Blangiardo (Presidente, ISTAT). Dai primi dati 2019 sull’export italiano emergono segnali di vivacità (con un tasso di crescita tendenziale del 4%), rafforzati da una moderata ripresa dei consumi che inverte, per la prima volta, la crescita di gap tra domanda interna ed estera iniziata nel 2015. “Dal 2008, in pratica, le imprese hanno progressivamente orientato le proprie vendite verso i mercati internazionali sostenendo di fatto il sistema economico per tutti gli anni della crisi”. Quali sono i fattori che potrebbero moficare il quadro? Relativamente alla Brexit, “ci troviamo di fronte ad un mercato di certo importante ma non centrale per il sistema economico italiano”. Conterà, comunque, perseguire lungo il percoso di internazionalizzazione che, lungo l’arco degli ultimi anni, ha “irrobustito” la struttura delle imprese. “La crisi ha determinato un processo di selezione che ha ridimensionato il sistema produttivo – meno 150mila aziende e meno 295mila addetti nell’intervallo 2011-2015 – a favore delle imprese con maggiore solidità economica, rilevanza sistemica e connettività”.

Luigi Di Maio (Ministro, MISE). Innovazione e formazione le parole chiave del futuro. “E’ sconvolgente sapere che noi abbiamo 40 miliardi di euro di Made in Italy vero del mondo e ben 100 miliardi di falso Made in Italy. Il contrasto all’italian sounding e il contrasto alla contraffazione passa dunque attraverso l’utilizzo di nuove tecnologie come la Blockchain, capace di garantire la tracciabilità del prodotto”. La sperimentazione avviata dal MISE (45 milioni) riguarda tre filiere: tessile, agroalimentare, meccanica di precisione. “Questo ci consentirà non solo di tracciare il prodotto ma i singoli pezzi. Ogni singolo pezzo potrà essere tracciato in blockchain, consentendoci di garantire l’autenticità in generale. Vuol dire guadagnare sul mercato 100 miliardi di euro di vero made in Italy. Più ne contrastiamo più ne possiamo guadagnare”. Sull’internazionalizzazione lavorare sulle infrastrutture e sulla loro penuria: “le imprese al Sud hanno solo un quinto delle infrastrutture disponibili rispetto alle altre parti d’Italia”. “Dobbiamo permettere a sempre più multinazionali e non, di poter co-investire insieme alle nostre imprese sul nostro territorio”.

Polemiche alla vigilia della presentazione del Rapporto ICE per le dimissioni del presidente, Fabrizio Onida, e di dieci membri del comitato editoriale (composto da docenti universitari ed esperti) che supervisiona la stesura del documento. La decisione nasce dalla scelta di non accompagnare la pubblicazione con l’abituale fascicolo di sintesi (executive summary), che ne riassume le principali sintesi e conclusioni, sostituendolo con un booklet. “Il comitato editoriale e il suo presidente – si spiega in una lettera aperta – devono poter operare in autonomia nella definizione dei testi del Rapporto, svolgendo il proprio ruolo di garanti della qualità scientifica delle analisi prodotte. Il Rapporto annuale e la sua Sintesi sono infatti documenti di analisi economica e non strumenti di promozione del sistema produttivo italiano. L’Agenzia Ice ne utilizza i contenuti nelle sue attività di comunicazione e di servizio alle imprese, ma queste funzioni devono restare distinte dall’analisi economica”.

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