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LUGLIO 2019 PAG. 22 - Asia, verso uno spostamento degli equilibri produttivi


“La priorità rimane l’ispessimento del nostro settore manifatturiero. Da quanti anni il nostro traffico container è attestato lungo la linea dei dieci milioni di Teu?”. Alessandro Panaro, Responsabile dell’Area di ricerca Maritime & Energy di SRM, non molla la presa e rilancia il succo di un discorso già toccato nel corso della recente Genoa Shipping Week e della presentazione dell’ultimo Report dell’Istituto dedicato al traffico marittimo. “La percezione di uno spostamento degli equilibri produttivi internazionali è sempre più evidente. L’export internazionale sta traslando verso la Cina, l’India, l’Asia in generale sia in termini di contributo percentuale al comparto produttivo sia come quota totale di mercato sugli scambi. E questo chiama in causa un nuovo atteggiamento del nostro Paese verso la logistica. Non pretendo che sia considerata l’elemento centrale dell’azione politica ma serve più attenzione di quella dimostrata finora”.

Altrimenti, a quali rischi si espone il sistema Paese?
Il senso della posta in gioco deve essere chiaro. I cinesi, paradossalmente, non sono preoccupati delle conseguenze della “trade war”: sono consapevoli di poter riempire gli spazi lasciati sguarniti dagli americani e di poter incrementare ulteriormente il loro volume di scambi. C’è un elemento che salta agli occhi e suggerisce nuove riflessioni: la crescita esponenziale nella registrazione di brevetti nell’ultimo decennio. La Cina sta acquistando know how tecnologico e operativo, un fenomeno che riguarda da vicino la stessa impostazione sottesa alla BRI e rischia di metterci fuorigioco. 

Dunque non solo la discussione in corso sui nuovi equilibri geopolitici?
Dopo la fase dell’annuncio e delle acquisizioni portuali nel Mediterraneo la BRI sta vivendo una fase inedita: l’incremento dei flussi navali attraverso i gate acquisiti e la ricerca di business alternativi, legati soprattutto al settore immobiliare. Mentre si discute abbastanza a vuoto sul rischio di monopoli sulle banchine, invero inesistente visto che con la sola eccezione del Pireo e di Valencia le partecipazioni di Pechino nella portualità del Mediterraneo riguardano quote percentuali in collaborazioni con altri grandi player internazionali, il possibile ruolo dell’Italia non è stato ancora inquadrato in modo chiaro.

Vale a dire?
È chiaro che Genova e Trieste rappresentano gate di riferimento per instradare la merce proveniente dal Far East verso il cuore dell’Europa. Ma a parte l’acquisizione degli slot portuali più appetibili manca nel nostro paese la possibilità di concreti investimenti immobiliari. L’esempio lampante è costituito dalle ZES che escludono a priori tale possibilità: sia per motivi concreti, l’insistenza dei nostri porti in aree già urbanizzate, sia per scelta politica. Siamo l’unico paese che, a differenza di quanto accaduto a Shenzhen dove le aree residenziali a supporto delle attività industriali della ZES coprono la maggior parte delle superfici a disposizione, non ha valorizzato un’area fieristica come Expo sotto questo specifico aspetto. 

Rimarrebbero le aree a disposizione degli interporti… 
Certo. Ma fatte le debite eccezioni in questo caso si scontano notevoli ritardi infrastrutturali: collegamenti con la ferrovia, ultimo miglio, colli di bottiglia sono tutte criticità che al momento sconsigliano ai cinesi di imbarcarsi in questo impegno.

Come riuscire a coinvolgere maggiormente il nostro Paese nelle opportunità della BRI?
Un aspetto interessante potrebbe essere costituito dalla nostra prossimità geografica con l’area Mena e l’Africa ma anche qui il posizionamento strategico conseguito a Malta e Valencia, per limitarci ai due esempi più lampanti, rende meno appetibile la nostra offerta marittima. Ciò che di certo interessa a Pechino sono le competenze logistiche che di certo all’Italia non mancano. Nel Logistic Performance Index siamo diciannovesimi ma la Cina, con un approccio di lungo periodo, si sta muovendo per recuperare terreno. Anche su questo versante i segnali per il nostro paese sono ambivalenti: nonostante il recupero in molti indicatori dell’Indice Doing Business – tempi di consegna, tracking & tracing, servizi doganali – perdiamo terreno sotto l’aspetto della connettività. Non riusciamo a raccogliere navi e questo si ripercuote sulla perdita di collegamenti diretti. 

Le ZES potrebbero rappresentare una soluzione ma sono bloccate…
Non è un caso che, facendo riferimento ai principali indici di misurazione delle performance logistiche e di trasporto, siamo stati superati da paesi come Vietnam, Egitto e Marocco che sono riusciti ad attivare al meglio questo tipo di strumento. La ZES è un pacchetto che unisce nello stesso meccanismo manifattura e logistica. Gli interventi di attrazione per favorire gli investimenti sono molto più importanti del mero credito d’imposta. E noi ci siamo bloccati proprio lì.

Quale posizione sulla proroga delle esenzioni antitrust per le shipping line?
Recentemente abbiamo realizzato una survey tra 400 imprese manifatturiere insediate in Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna, area territoriale che assomma circa il 50% del Pil nazionale. Ebbene, è emerso che l’85% delle imprese esternalizza i servizi logistici. E’ chiaro che con un’impostazione del genere il problema non si pone nemmeno: il nostro tessuto industriale per vocazione preferirà affidarsi a chi garantisce maggior efficienza ed economicità attraverso l’integrazione della filiera. Una conferma che arriva da un altro fenomeno osservato. Il 64% delle aziende opera attraverso la clausola “ex work”. Questo significa perdere la percezione della funzione logistica e con essa ricchezza per il Paese. Una criticità dalle dimensioni strutturali rispetto alla quale è anche difficile poter proporre una soluzione. Offrire un logistic bonus sul modello del marebonus e del ferrobonus? Improbabile, si rischia di approdare su un terreno quantomeno ambivalente sotto l’aspetto della concorrenza.

I prossimi appuntamenti per SRM?
Abbiamo partecipato nei mesi scorsi al meeting ad Hong Kong dell’alleanza siglata quattro anni fa dagli istituti di ricerca dedicati all’economia marittima. SRM rimane ancora l’unico rappresentante italiano in una squadra che ora conta 17 membri e che si sta dotando di un importante strumento di comunicazione come il sito comune su cui saranno pubblicati gli studi e le iniziative di ogni istituto. Il prossimo meeting è fissato a Brema nel mese di febbraio. Venendo all’Italia replicheremo la survey realizzata in collaborazione con Contship. L’obiettivo è verificare i punti di forza e di debolezza del questionario sottoposto alle aziende e di rifinire al meglio i parametri dell’Italian Quality Index. Infine, continua l’impegno quotidiano di ricerca per offrire prodotti all’altezza, focalizzandosi su argomenti inediti. Non è un caso che l’ultimo rapporto contenga un capitolo dedicato alla cantieristica, al dry bulk e al settore car carrier. Oltre un interessante analisi di bilancio su un panel di società del cluster marittimo da parte dell’Ordine dei Dottori Commercialisti di Napoli. Ne emerge un quadro di sostanziale salute, almeno per chi, tralasciando le sirene della finanza, si limita ad operare nel tradizionale settore armatoriale. Senza dubbio un segnale positivo.
Giovanni Grande
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