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LUGLIO 2019 PAG. 15 - Il Made in Italy esercita un indubbio fascino in Oriente



“Prendere la valigetta e cominciare a girare nei paesi centroasiatici alla ricerca di opportunità”. Riccardo Fuochi, presidente del Propeller Club di Milano e di Omlog International, invita a confrortarsi con il cambiamento dei paradigmi geoeconomici. Profondo conoscitore dei mercati del Far East, tra gli osservatori più attenti circa la portata e le conseguenze della BRI, guarda ancora all’Oriente come la terra delle possibilità per iscrivere il sistema Italia al grande gioco del futuro.

Come giudica l’andamento del quadro internazionale?
Stiamo attraversando una fase di cambiamenti epocali in tutti i settori dell’economia. Il mondo sta cambiando con una velocità impressionante e questo non può non toccare anche le attività di shipping, logistica, spedizioni. Il problema è che non riusciamo a percepire la velocità e la portata complessiva di questa trasformazione per reagire di conseguenza. La guerra dei dazi tra Cina e Usa, ad esempio, trascende di gran lunga la mera questione delle limitazioni all’importazione di merci nei due paesi: la posta in gioco riguarda la tecnologia, il controllo dei dati e, va da se, il futuro assetto dei flussi economici. Stesso discorso per le dinamiche demografiche e i processi di urbanizzazione: paesi poveri o poco interessanti sotto il punto di vista dei consumi in prospettiva traineranno la richiesta di infrastrutture, consumi e servizi nel prossimo futuro. Stiamo interpretando nella maniera giusta i segnali che ci arrivano?

Partiamo dall’Europa. Come sta reagendo a questo nuovo contesto?
L’Ue sembra assente rispetto ai grandi problemi cui accennavo prima. Vive di una posizione di rendita, ogni paese porta avanti i suoi propri interessi. C’è una scarsa coesione. I tedeschi sono interessati a non subire danni per il loro export, i francesi puntano a stringere legami economici sempre più forti con Pechino, il gruppo 16+1 fa altrettanto puntando allo sfruttamento degli investimenti cinesi per il potenziamento infrastrutturale dei territori dell’Est. 

E l’Italia?
Viviamo alla giornata confermandoci il paese del paradosso e delle differenziazioni eccessive. Il confronto con la Cina e con le sue politiche di lungo termine non gioca di certo a nostro vantaggio. Le stesse polemiche sulla firma del memorandum sulla BRI confermano questo nostro deficit di programmazione. Fatte salve tutte le attenzioni rispetto alla collaborazione con una realtà economica e politica così diversa dalla nostra io credo che sia comunque meglio partecipare all’iniziativa: certo è importante non vendere le nostre infrastrutture strategiche ma lo è altrettanto sedere ai tavoli dove si prenderanno le decisioni che plasmeranno il nuovo mondo. 

Quali carte possiamo giocarci?
L’Italia esercita un indubbio fascino in Oriente. Il made in Italy è un elemento riconosciuto a livello di cultura, turismo, design ma anche di alta tecnologia. Dobbiamo far leva su questo puntando sul know how che possiamo esportare nei servizi. Senza dimenticare però che il nostro tessuto produttivo è caratterizzato quasi esclusivamente da pmi. E quindi sarà necessario sempre più ragionare come sistema, mettendo a disposizione delle aziende gli strumenti adatti per confrontarsi su mercati così differenti. 

Oltre la Cina, quali sono i paesi con maggiori potenzialità per gli operatori italiani?
L’Asia centrale e, in particolare, tutta la regione del Caspio è interessante. L’Uzbekistan ha intrapreso una politica di apertura economica piena di potenzialità mentre il Kazakistan con la free trade zone di Kogos si candida a diventare una nuova Dubai. Io guarderei in direzione di questi paesi anche in virtù della natura della BRI. La realizzazione di grandi infrastrutture apre spazi alla subfornitura di opere accessorie. Senza contare che non è detto che gli investimenti debbano per forza di cosa dipendere da Pechino. Sotto questo aspetto stanno avanzando già una serie di fondi per investire. Il consiglio è prendere la valigetta e cominciare a girare.
G.G.
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