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MARZO 2019 PAG. 36 - Il Mediterraneo, tra Canale di Suez e Via della Seta


A poco più di tre anni il nuovo Canale di Suez continua a macinare record. Sono cresciuti quantità e natura delle merci trasportate, il numero e la stazza delle navi che lo attraversano, i nuovi servizi marittimi, compreso l’aumento delle rotte che dall’Asia raggiungono la costa orientale degli Stati Uniti via Mediterraneo.
Ma le conseguenze del raddoppio del Canale vanno ben oltre i dati quantitativi. Sono gli stessi assetti mondiali del trasporto marittimo, e della consistente fetta di economia globale che ne dipende, che stanno cambiando profondamente. Innestato all’incrocio della nuova mappa geopolitica disegnata dall’avanzare della BRI (Belt and Road Initiative), Suez rappresenta il nuovo fulcro attorno al quale oscilla il pendolo della storia dei rapporti tra Occidente e Oriente, il cui moto sembra destinato    a invertirsi. Del ruolo che dovrà svolgere in questo contesto  il sistema logistico italiano, e con esso la portualità meridionale, in particolare, si è discusso a Napoli al Convegno “Le prospettive marittime del Mediterraneo, tra canale di Suez e Via della Seta”, organizzato dall’AdSP  del  Mar  Tirreno  Centrale  in collaborazione con SRM, Centro Studi collegato al Gruppo intesa San Paolo.

Pietro Spirito (Presidente, AdSP Mar Tirreno Centrale) - I nuovi paradigmi geo-economici richiamano a una revisione delle priorità politiche ed economiche del nostro paese. A partire dalla definizione, errata, di nuova Via della Seta. “Il flusso degli scambi si è invertito rispetto a quelli dei tempi di Marco Polo. La Cina ha bisogno di sbocchi per la sua economia e la BRI è una manovra a tenaglia, incentrata a sud sulla via marittima, a nord sugli investimenti infrastrutturali per il trasporto terrestre”. Il primo obiettivo da perseguire diventa il “riequilibrio della bilancia commerciale, passando anche da una riduzione delle barriere imposte da Pechino alle nostre merci”. Tre i pilastri su cui basare le azioni future: una politica europea per il Mediterraneo, “fin qui vissuto più come un’area di crisi e difficoltà, piuttosto che come opportunità”, la specializzazione portuale e l’integrazione logistica. “I porti del meridione devono recuperare competitività. Ognuno deve fare il proprio mestiere, seguire la propria vocazione. Ma per stare nella mappa delle rotte vanno completate le opere infrastrutturali e rafforzato il dialogo tra scali e retroterra per ottimizzare i costi dei servizi, soprattutto interportuali, non solo sulle lunghe distanze ma anche sulle brevi”.

Alessandro Panaro (responsabile Maritime & Mediterranean Economy, SRM) - L’ultimo rapporto di SRM “The Suez Canal after the expansion”, conferma una serie di dati record come quello, relativo al 2018, del numero di navi transitate (oltre 18mila, +3,6%) e di cargo trasportato (983,4 milioni di tonnellate, +8,2%). “La dimensione media delle navi è crescita del 12% rispetto al 2014, evidenziando che la nuova infrastruttura asseconda le esigenze del gigantismo. Suez risulta anche come terza rotta al mondo per il trasporto di petrolio e gas naturale che parte dal Golfo verso Europa e Nord America”. Ma è a livello di connettività che si registra i dati più interessanti. “Secondo il Liner Shipping Connectivity Index dell’Unctad, indice che misura la competitività portuale e logistica di 157 paesi, nel 2018 l’Egitto, con un punteggio di 70,3, risulta al 18° posto a livello mondiale, 3° tra i paesi Mena e 2° tra i paesi del Sud Mediterraneo”. Balzo importante che conferma il valore strategico della dotazione infrastrutturale e la capacità di sfruttare strumenti per l’attrazione d’investimenti come le ZES (il progetto SCZ - Suez Canal Zone è molto articolato, con un mix di operatori e infrastrutture interessate in modo integrato allo sviluppo dell’area).

Adriano Giannola (Presidente, SVIMEZ) - Persa l’occasione del transhipment e la possibilità di fare di Taranto il punto di riferimento cinese nel Mediterraneo, il rilancio del Mezzogiorno passa dall’istituzione delle ZES. Intese non solo come strumento di attivazione per gli investimenti internazionali ma come veri e propri laboratori di politiche di sviluppo. “La crisi strategica del paese si manifesta nella mancanza di un’idea di Mediterraneo e alimenta la richiesta di autonomia regionale. Le stesse ZES sono una risposta a questa crisi”. Potenzialmente “potrebbero rimettere il paese al centro dell’area mediterranea”. A patto di creare una regia che non metta in concorrenza le 12 future zone economiche speciali. “Ognuna di esse potrebbe rispondere ad una specializzazione e diventare un pungolo per lo sviluppo, ad esempio, di politiche di sostenibilità in linea con gli obiettivi europei previsti dall’agenda di Kyoto. Se nel Mediterraneo passerà il 20% del traffico mondiale è anche arrivato il momento di porsi il problema del suo impatto ambientale”.

Massimo Deandreis (Direttore Generale, SRM) - “L’aumento dell’indice di competitività marittima – di circa 10 punti – fatto registrare dall’Egitto negli ultimi tre anni è un esempio lampante che la realizzazione di infrastrutture, in sinergia con un grande progetto industriale, quale è la free zone, può essere un grande generatore di economia”. Un disegno di sviluppo che per l’Italia non può prescindere da quella vocazione di ponte tra Europa e Mediterraneo che il paese scelse proprio nel momento in cui fu realizzato il Canale di Suez. “C’è un parallelismo storico da sottolineare: 150 anni fa la neonata Italia partecipava con il suo ministro delle Infrastrutture, Pietro Paleocapa, alla Conferenza di Parigi nello stesso periodo in cui cominciavano i lavori per il traforo del Frejus”. Vocazione ad unire territori che può essere replicata anche in tempo di BRI. “L’iniziativa cinese guarda soprattutto all’Europa centrale, alle repubbliche caucasiche ed ex sovietiche: è un’opportunità che possiamo cogliere anche noi se ci presentiamo con una idea di visione nazionale”.

Michele Geraci (Sottosegretario, Sviluppo Economico) - Il recupero di quote di traffico della portualità mediterranea rispetto al northern range ha risvegliato l’attenzione europea sulla crescente presenza cinese nell’area del bacino. “Il modello di sviluppo portuale incentrato sui tre porti di Olanda e Belgio, anche per il raddoppio di Suez, si sente minacciato e lì noi italiani non troveremo alleati”. L’Italia e il meridione, d’altronde, dovrebbero guardare più alla crescita mondiale nel suo complesso rispetto a ciò che arriva dal mercato cinese. “La possibilità di sfruttare la rotta artica comporterà un ripensamento delle rotte cui è interessata Pechino. Con oltre 400 miliardi di investimenti cinesi in Africa, inoltre, bisognerà puntare a sviluppare attività di cooperazione per le nostre aziende”. Positiva l’introduzione delle ZES “a patto che non siano iniziative isolate”.
“In Cina dove hanno funzionato al meglio sono state favorite dalla presenza di collegamenti efficienti e di una politica amministrativa favorevole”.

Graziano Delrio (Deputato, già ministro MIT) - Nel nuovo quadro geopolitico è impossibile giocare un ruolo guardando solo alla difesa dei singoli territori. “Nella proposta di autonomia differenziata trovo preoccupante che una regione debba occuparsi del governo dei porti. Così come il ricorso all’analisi costi-benefici su singoli pezzi del sistema logistico nazionale non è convincente: con questo criterio verrebbe cancellata un’opera strategica come la Napoli-Bari”. Il rilancio del paese deve poggiare su una unitarietà di visione, guardando all’efficienza e investendo in infrastrutture, precondizione di ogni progetto di sviluppo, quote cospicue del Pil, oltre al pieno utilizzo dei fondi europei. 
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