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APRILE PAG. 42 - Dualismo BRI e rotta artica ci guadagnerà la Corea del Nord?


Era il 16 giugno del 1862 quando il capitano David McDaugal dello sloop da guerra unionista USS Wyoming ricevette l’ordine dall’Ammiragliato di dirigersi immediatamente in Estremo Oriente per dar la caccia alla nave corsara confederata CSS Alabama. Dopo una lunga navigazione di circa un anno il Wyoming approdò nelle esotiche acque giapponesi, ma i rapporti tra potenze occidentali e Giappone stavano cambiando. Infatti l’imperatore Kōmei (l’ultimo del periodo Edo) emanò un proclama d’espulsione per tutti gli stranieri dall’isola. Così il 25 giugno navi giapponesi attaccarono il mercantile americano Pembroke ancorato per rifornimento nello stretto di Shimonoseki. Il bastimento americano levò immediatamente le ancore e dopo una fuga rocambolesca e fortunata, tanto da restare incolume, riuscì a raggiungere il sicuro approdo di Shangai. In risposta all’aggressione giapponese il Wyoming si presentò la mattina del 16 luglio nelle acque dello stretto ed ingaggiò battaglia contro le navi giapponesi. Lo scontro durò poco tempo e il Wyoming danneggiato dopo aver affondato due navi giapponesi diresse la propria prora verso il porto di Yokohama. Dopo questo scontro alcune potenze occidentali riunirono una grande flotta e dettero inizio alla campagna di Shimonoseki. Dal quel momento in poi quell’area del mondo entrò definitivamente nell’interesse dell’economia delle grandi potenze. Quindi non è inopportuno sostenere che una parte importante della storia della seconda metà del diciannovesimo secolo è stata caratterizzata proprio dalla rinascita del Giappone che sotto la guida della dinastia Meiji (il regno illuminato) riuscì in breve tempo a divenire la potenza egemone orientale nel Pacifico. Il processo di innovazione tecnologico che investì il Paese fu di eccezionale portata “teletrasportando” una nazione parcellizzata e medievale nella tecnologia del diciannovesimo secolo con una struttura statuale unitaria. In breve il Giappone divenne stato unitario e leader asiatico del Pacifico, soprattutto dopo la prima guerra sino-giapponese (1894-1895) che ne decretò il controllo sulla Corea. Ma quella parte del mondo era già oggetto delle ambizioni e degli interessi delle potenze europee. Lo dimostra il Triplice Intervento (Russia, Germania, Francia) con il quale i governi europei scipparono gran parte del bottino di guerra giapponese. Che il Giappone fosse una realtà politica di cui tener conto lo si comprese subito. Infatti in breve tempo esso fu percepito come quel “pericolo giallo” che tanto preoccupò nazioni come il Canada, l’Australia e gli Usa. Con la guerra russo-giapponese, che per molti storici contemporanei fu la World War Zero, il Giappone decretò definitivamente la propria egemonia nel Pacifico. L’internazionalità dello scontro fu evidente. Infatti non fu una guerra locale come spesso ci è stata raccontata, ma fu uno scontro internazionale. La Russia fu aiutata e non poco dalla Francia e dalla Germania, mentre il piccolo Giappone poté contare sull’aiuto sia della Gran Bretagna, con cui già dal 1902 era vincolato da rapporti di alleanza (alleanza anglo-giapponese 1902), sia su quello economico americano. La flotta dell’ammiraglio Togo ebbe facilmente la meglio su quella dello sfortunato Zinovij Petrovič Rožestvenskij a Tsushima e con questa battaglia navale la guerra finì. La preoccupazione americana di un ulteriore consolidamento della posizione giapponese favorì una pace tenue nei confronti dell’Impero russo. Lo stesso Vitte ministro degli esteri di Nicola II tornò in patria quasi come un vincitore. Bisognava limitare l’influenza del Giappone in quell’area del Pacifico ritenuta strategica per gli interessi commerciali non solo americani. Il Giappone accrebbe i propri possedimenti con la Grande Guerra e divenne grande potenza navale nonostante le controversie con gli Stati Uniti. Con la II Guerra Mondiale il Giappone perdette la propria influenza e la Corea fu divisa in due. Con la guerra tra Corea del nord e quella sud il mondo trattenne il fiato per tre lunghi anni, dato che il conflitto sarebbe potuto degenerare da convenzionale in nucleare. La guerra finì e le testate nucleari rimasero sulle rampe di lancio e nei silos. Da quel momento in poi la Corea del nord fece la scelta del nucleare. Anzi del nucleare ne fece la base della sua strategia di politica estera, come ci ha ben insegnato l’ultimo erede della dinastia Kim. Il giovane rampollo dopo aver consolidato il proprio potere all’interno del partito prima e dello Stato poi, ci ha abituato ad ardite dimostrazioni di forza. Affermare che l’interesse mondiale per la Corea del Nord fosse dovuto solo alle tante minacce nucleari dell’ultimo rampollo della dinastia Kim sarebbe un errore madornale oltreché un’affermazione ingenua. Con l’ampliamento di Suez, che ha consentito il transito nel Mediterraneo da oriente anche al gigantismo navale, una volta costretto a doppiare Capo di Buona Speranza ed entrare nel mare latino da Gibilterra, si sono avute una serie di accelerazioni commerciali e politiche che hanno fortemente caratterizzato e trasformato le dinamiche degli investimenti commerciali delle potenze tanto da modificare profondamente le strategie politiche e diplomatiche. Così il secolo della Blue Economy è anche il secolo dei grandi ed incontrollati flussi migratori, della delocalizzazione industriale, di una politica mondiale caratterizzata da una fluidità eccezionale, ma anche e soprattutto del mercantilismo navale. In questa dimensione internazionale è impossibile non notare come il mondo sia stato diviso in due o per meglio dire frazionato dalle due rotte commerciali: quella della Seta e quella Artica. Infatti mentre la Cina lanciava la sua sfida alle potenze mondiali con la Belt and Road Initiative, accreditandosi come potenza navale sfidando apertamente gli Usa ed i suoi alleati, la Russia rispondeva con l’apertura della rotta Artica. È proprio l’apertura della Rotta Artica da parte della Russia, intenzionata a riappropriarsi del proprio ruolo di grande potenza mondiale non solo militare, ma anche e soprattutto economica, ad aver involontariamente accresciuto il valore geopolitico della piccola Corea del nord. Infatti quella stretta striscia di terra, nota al mondo per le sue intemperanze nucleari, dominando lo stretto omonimo ora gioca un ruolo economico d’eccezione. Fu Napoleone Bonaparte a ricordare al mondo che la geografia non solo era destino ma anche e soprattutto era elemento imprescindibile della politica, così le minute Corea del Nord e del Sud sono chiamate a ricoprire un ruolo incredibilmente importante in quella eterna lotta nel commercio internazionale. Infatti è inequivocabile affermare che la penisola coreana ed il Giappone dominano le sole acque capaci d’essere il trait d’union tra Rotta Artica e la via della Seta. Con una Corea del Nord inquieta le rotte commerciali dovrebbero circumnavigare l’arcipelago giapponese per poi virare verso il primo porto della rotta Artica, ossia Vladivostok.
 Una posizione geografica quindi di primissimo rilievo ed importanza. Un elemento d’eccezionale valore se si considera il postulato schmittiano secondo il quale: la storia mondiale è la storia della lotta tra le potenze marittime e quelle terrestri. Un postulato ancora valido, ma insufficiente a decodificare le tante accelerazioni nel campo del trasporto marittimo, nel mondo politico ed in quello economico. In un’era (quella della Blue Economy) dove la supremazia mercantilistica determina indiscutibilmente il peso politico delle potenze mondiali. La struttura mercantilistica, incluso tutto il suo variegatissimo mondo, diviene non solo il metro della valutazione delle forze politiche, ma essa stessa è il fine che decodifica il mondo nel rapporto Potere Marittimo e Potenza.
In questo quadro economico, caratterizzato da una straordinaria fluidità politica, si comprende bene come il giovane Kim e la sua piccola Corea del Nord siano riusciti nell’impresa ciclopica di portare al tavolo delle trattative i presidenti dei tre ciclopi mondiali. Così come si comprende bene come la scelta di abbandonare la strategia nucleare coreana, elemento indispensabile per l’indipendenza del piccolo stato, sia stata il vero prezzo da pagare per potersi sedere al tavolo del grande gioco. Una scelta dolorosa, ma non priva di grandi prospettive. Infatti con il canale di Corea pacificato ed il libero accesso al Mar del Giappone non sarebbe un azzardo pensare che quel piccolo stato asiatico da qui a breve possa essere un grande polo d’attrazione di grossi investimenti portuali ed infrastrutturali. Elemento questo di assoluta importanza poiché gli consentirebbe un florido e roseo futuro. Così la piccola Corea del nord, povera economicamente, priva di molte materie prime e con un regime discutibile è indubbiamente entrata nel Gioco delle grandi potenze.
Alessandro Mazzetti
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