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FEBBRAIO 2019 PAG. 50 - Proroga concessioni demaniali marittime turistico-ricreative


Oramai ogni nuovo governo, nel tentativo (sacrosanto) di offrire risposte ad una categoria ormai devastata dal “tornado” Direttiva UE n. 123/06 (al secolo Direttiva “Bolkestein” dal nome del firmatario) e dalla “famigerata” sentenza della Corte di Giustizia UE del 14.7.2016, spesso è costretto a districarsi tra tortuosi e contrapposti interessi come la tutela del legittimo affidamento del concessionario uscente e quella della concorrenza.

Come è noto la nuova formulazione dell’art. 37 del codice della navigazione non permette più il rinnovo automatico della concessione demaniale marittima e dopo la procedura di infrazione UE lo Stato italiano si è visto costretto a “tamponare”, con provvedimenti tutt’altro che risolutori come quello della proroga (dapprima fino al 2015 poi fino al 2020). Con l’avvicinarsi inesorabile dell’ultima scadenza e nonostante il “diktat” dei giudici di Strasburgo nel Maxi Emendamento alla legge di bilancio 2019, con l’articolo 386-novies, è stata varata una nuova “ciambella di salvataggio”: una ulteriore proroga, a partire dal 1° gennaio 2021, fino al 1° gennaio 2034.
La nostra disamina si pone a beneficio di quanti operano nel settore e, magari, hanno ovviamente accolto in maniera legittimamente positiva il provvedimento governativo.

La recente giurisprudenza di Cassazione (tra le tante, Sent. N. 21281 del 2018) ritiene che la proroga non è automatica. In tali casi “è necessaria una istanza del concessionario a cui segue un atto espresso da parte dell’Amministrazione concedente, poiché è necessario valutare la sussistenza delle condizioni di legge e la permanenza dei requisiti che hanno prodotto il rilascio della concessione”.
Tale proroga non risponde, tuttavia, alla tutela del legittimo affidamento in quanto richiede una valutazione caso per caso che consenta di dimostrare che il titolare dell’autorizzazione poteva legittimamente aspettarsi il rinnovo della propria autorizzazione e ha effettuato i relativi investimenti. Una siffatta giustificazione non può pertanto essere invocata validamente a sostegno di una proroga automatica istituita dal legislatore nazionale e applicata indiscriminatamente a tutte le autorizzazioni in questione (vedi Sentenza CGE cause riunite C 458/14 e C 67/15 del 14/07/2016).

La proroga è istituto differente dal rinnovo e come stabilito dal T.A.R. Puglia - Lecce, Sez. Prima, sentenza 1239/2012 “è attribuito direttamente dalla norma e non deve essere confermato dal provvedimento amministrativo, per cui non assume alcun rilievo che il Comune abbia rinnovato la concessione per un periodo inferiore, spettando in ogni caso il diritto ad ottenere la proroga sino al termine stabilito dalla legge, ricorrendone i presupposti”. Secondo T. A. R. Sicilia – Palermo, Sez. Prima, sentenza n. 209/2014 s’afferma, del resto, lo stesso principio: “nell’ordinamento regionale trova diretta ed immediata applicabilità la proroga del termine di durata delle concessioni (…) e, conseguentemente, l’Amministrazione non è tenuta ad istruire alcun procedimento di “rinnovo” e, dunque, non deve adottare alcun provvedimento amministrativo, atteso che la proroga ex lege del termine finale costituisce un mero differimento del termine di durata delle medesime concessioni già rilasciate”. Inoltre l’istituto in esame “deve essere oggetto, da parte dell’ente locale, di una semplice presa d’atto del differimento della scadenza dal 31/12/2015 al 31/12/2020 (cfr. T.A.R. Campania - Napoli, Sez. Settima, sentenza n. 911/2017).

Per onestà intellettuale va anche ribadito che l’istituto in questione potrebbe essere disapplicato dal Giudice. Infatti negli ultimi anni si è assistito a provvedimenti orientati in questo senso da parte del Consiglio di Stato per contrasto con i principi del Trattato e con i dettami della citata direttiva comunitaria (Tra le tante, si segnalano la sentenza CdS n. 1219/2018 e CdS n. 872/2018).
La proroga potrebbe essere, altresì, disapplicata dall’Autorità concedente. La giurisprudenza di Palazzo Spada (vedasi tra tutte la sentenza CdS n. 3412/2018) specifica “che devono essere disapplicate d’ufficio le normative interne che prevedono una proroga automatica del regime di concessione, in base al principio generale e comunitario per cui su tutte le amministrazioni pubbliche, in generale, grava l’obbligo di attivare procedure competitive ogni qualvolta si debbano assegnare beni pubblici suscettibili di sfruttamento economico”. Sulla probabilità che ciò accada, tuttavia, ad onor del vero, si ritiene di poter affermare che raramente la P.A. assume decisioni così drammatiche, per via della storica recalcitranza delle P.A. nel disapplicare (in generale) le norme interne.
Si nutrono forti dubbi se l’istituto sia applicabile per i porti, nel caso di attività produttive come distributori carburanti, per concessioni rilasciate dopo il 30/12/2009 o, nel caso di domanda presentata dopo, alle attività relative ad acquacoltura, nautica da diporto e cantieristica.

La norma, forse a causa di evidenti urgenze, è scritta in modo errato. Ne discende che l’unica certezza è la seguente: i soggetti le cui concessioni rientrano nell’elenco che va dalla lettera a) alla lettera e) dell’art. 01 comma 1 della legge 494/93, titolari di concessioni valide al 30/12/2009 che si sono perpetuate sino ad oggi e che al 01/01/2019 siano ancora valide, sono senz’altro comprese nella proroga (sia letteralmente sia nelle intenzioni del legislatore). Per gli altri, la vicenda potrebbe assumere contorni assai più problematici, in quanto la discutibile tecnica redazionale può comprendere ed escludere chiunque.

In conclusione possiamo affermare che la proroga è assolutamente priva di motivazioni e basata su argomentazioni generiche sconnesse da ogni analisi tecnico - giuridica.
Per quanto concerne l’Italia forte è il rischio di una nuova procedura di infrazione da parte dei competenti organismi comunitari.

Infatti, l’articolo 12, paragrafi 1 e 2, della direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, relativa ai servizi nel mercato interno, deve essere interpretato nel senso che osta a una misura nazionale, che prevede la proroga automatica delle autorizzazioni demaniali marittime e lacuali in essere per attività turistico ricreative, in assenza di qualsiasi procedura di selezione tra i potenziali candidati. Non solo, l’articolo 49 TFUE osta a una normativa nazionale che consente una proroga automatica delle concessioni demaniali, nei limiti in cui tali concessioni presentano un interesse transfrontaliero certo. (vedi Sentenza CGE cause riunite C 458/14 e C 67/15 del 14/07/2016).

In passato, nel caso del rinnovo automatico ex legge 88/01 e del diritto di insistenza ex art. 37 c.n., lo Stato Italiano scelse la strada del ritiro della norma.
Nel caso la norma non venga ritirata è possibile che allo Stato membro vengano inflitte sanzioni di natura economica.

A questo punto sarebbe spontaneo domandarsi : si può “uscire” dalla direttiva Bolkestein?
La Corte di Giustizia Europea ha già formalmente analizzato tale vicenda ed ha sancito che le concessioni demaniali marittime rientrano appieno in tale Direttiva. Nella causa riunita C 458/14 e C 67/15 del 14/07/2016, infatti, è stato affermato che tali concessioni debbano essere qualificate come “autorizzazioni”, ai sensi delle disposizioni della stessa direttiva 2006/123, in quanto costituiscono atti formali, qualunque sia la loro qualificazione nel diritto nazionale, che i prestatori devono ottenere dalle autorità nazionali al fine di poter esercitare la loro attività economica. E’ chiaro, però, che lo Stato membro può sempre emettere una norma interna che ponga queste concessioni fuori dall’ambito applicativo della Bolkestein. Tale norma, però, potrà tecnicamente stridere con la stessa direttiva e quindi, potenzialmente disapplicata dal giudice interno o dalle Autorità concedente.

La Prima Sezione del T.A.R. Abruzzo – L’Aquila - con la sentenza del 2 luglio 2018, n. 271 è intervenuta, con una pronuncia sui generis, statuendo  “che una proroga ad una concessione demaniale è giustificata solo allorquando sia finalizzata a tutelare la buona fede del concessionario, ossia quando lo stesso abbia ottenuto una determinata concessione in un’epoca in cui non era ancora stato dichiarato che i contratti aventi un interesse transfrontaliero certo avrebbero potuto essere soggetti a obblighi di trasparenza.” Nel caso di specie, sia la concessione demaniale che gli investimenti effettuati dal cointestatario risalivano ad epoca antecedente alla scadenza del termine di recepimento della Direttiva 2006/123/CE e pertanto, come statuisce il T.A.R. Abruzzo, la cessazione anticipata della concessione, per essere legittima, “deve essere preceduta da un periodo transitorio che permetta alle parti del contratto di sciogliere i rispettivi rapporti contrattuali a condizioni accettabili, in particolare, dal punto di vista economico.”

Dal punto di vista strettamente pratico una proroga è sicura nella misura in cui l’Amministrazione rilascia il relativo atto ovvero non intende essa stessa disapplicarla. E’ sicura se nessun privato interessato alla concessione non la impugni dinanzi al Giudice Amministrativo chiedendone la disapplicazione. Ed, infine, è sicura sino a che il Governo, attuale o futuro, non decida di ritirarla a seguito dell’apertura di una procedura di infrazione.
Alfonso Mignone
Studio Legale Maffia & Mignone
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