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DICEMBRE 2018 PAG. 80 - Storia del Mediterraneo in 20 oggetti

A. Feniello - A.Vanoli - Laterza Editori

Venti oggetti per orientarsi nella storia di una civiltà, quella del Mediterraneo, fatta di incontri e di scontri, condivisioni e dissonanze. “Mare tra le terre”, testimone di “genti, religioni, vite, amori, terrori, passioni e paure che si sono accavallate per millenni”, il Mediterraneo viene ripercorso, da Gibilterra alle coste del Medio Oriente, da Venezia ad Alessandria d’Egitto, lungo le rotte, diverse e comuni, della sua storia materiale: “una storia di oggetti che possa aiutarci a conoscere e ricordare le nostre comuni radici”. 

Si parte dal pane, materia della condivisione per antonomasia, per finire alla fontana. Passando per la rete, la chitarra, l’abaco e la valigia. “Oggetti semplici, quotidiani e strani, ordinari e curiosi” che creano una trama densa, una narrazione che ha “il volto di Ulisse e di Enea, delle galee romane e di loro profumi”. Di suoni, cibi e tradizioni. Di guerre e di paci.

Senza pretesa di sistematicità il racconto si dipana lungo tre concetti tipici di tutti i mari ma del Mediterraneo in particolare. Tre coordinate che sono altrettante occasioni di ripensare il “mare nostrum”: scambio, navigazione, migrazione.

“Lo scambio con la sua estensione palpabile, fatto non solo di merci, ma di rade e porti, di città e magazzini, di negozi e uomini, di sapori, spezie, culture e ricchezze, di vita e di morte”. Poi, la navigazione. Con la miriade delle sue facce che sanno di “naufragi e mostri marini” ma anche di rivoluzioni nautiche, di vele e cannoni, “di motori che cambiano tempi e velocità”.

È lungo questa direttrice qui che emergono le suggestioni più affascinanti che legano il passato al presente e al futuro del Mediterraneo. L’invenzione ad Amalfi della bussola, strumento che permette di padroneggiare finalmente il mare aperto, innescando la rivoluzione commerciale che ci porterà nell’era moderna; l’evoluzione, in pieno medioevo, della tecnica della pesca con reti, prodromo di una “nuova coscienza per la protezione dell’habitat naturale, dei cicli biologici e di ripopolamento della fauna marina”; l’anticipazione, con almeno due millenni di anticipo sul container, del principio di standardizzazione nel trasporto marittimo grazie all’uso dell’anfora, “con la sua forma a punta utilissima soprattutto per lo stivaggio, infilata tra i banconi forati nelle pance delle navi”, e successivamente della botte, che si impose in virtù dei vantaggi economici garantiti dal minor peso e dalla grande flessibilità d’uso.


Cortocircuito continuo tra passato e presente che emerge anche dall’analisi degli oggetti – la valigia, il barcone – legati ai fenomeni migratori. Quelli che nell’antichità si svolgevano verso le ricchezze dell’Africa del Nord, da un’Europa in preda a povertà, intolleranza religiosa, guerre, con spostamenti di popoli interi – i Vandali scacciati dalla Spagna, gli Ebrei dai Cristiani spagnoli o i Musulmani dai Normanni – o di piccoli gruppi, come i greci che nel Settecento approdano in Sardegna, contribuendo a inserire l’isola nella rete dei commerci internazionali dell’epoca. Quelli di oggi, in un Mediterraneo che ha perso la sua centralità politica dopo il momento, intorno agli anni Novanta, in cui “ha rappresentato una speranza”. Un mito, forse da cartolina, ma capace di creare un senso comune. Quello di un mare che “più di ogni altro ha contribuito a far parlare tra loro gli uomini” e tramutatosi invece da mare della possibilità in mare della contabilità. “Una contabilità feroce e tetra, che sa di morte e si alimenta di paure, incomprensioni, razzismi”. Un buco nero cui contrapporre “il silenzio positivo delle cose”.

Recensioni: giovanni.grande@portoeinterporto.it
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