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DICEMBRE 2018 PAG. 10 - Blockchain equilibrio tra open standard e sistemi proprietari


Paragonata per gli effetti all’introduzione di internet, il discorso sulla blockchain ha monopolizzato quest’anno gran parte dei ragionamenti del cluster logistico sugli sviluppi futuri del settore. Balzata agli onori della cronaca grazie al successo dei Bitcoin, la tecnologia che promette di modificare radicalmente i concetti di transizione e fiducia tra i soggetti che compongano una medesima catena operativa, ha visto fiorire, dopo l’annuncio della collaborazione Maersk – IBM, sperimentazioni, progetti-pilota, alleanze tra soggetti pubblici e privati per lo sviluppo di piattaforme digitali basate su questo standard. Ma che in cosa consiste esattamente la “catena di blocchi”? In che modo può favorire lo sviluppo dei trasporti e della logistica?

Riducendo all’osso, si tratta di un database distribuito che sfrutta la tecnologia peer-to-peer: un’infinita catena di blocchi informativi, ognuno dei quali registra i dati per un determinato periodo di tempo garantendo, tramite la condivisione del codice dei partecipanti, l’impossibilità di modifiche e alterazioni. Utilizzabile in qualsiasi attività che richieda certificazione e trasmissione dati come transazioni finanziarie, registri di proprietà, contratti, documenti, nonché contenuti digitalizzati di qualsiasi tipo, non può non affascinare un mondo dei trasporti alle prese con la gestione di filiere logistiche sempre più lunghe e complesse. Anche per un’ulteriore caratteristica decisiva:  interrogato da un utente riconosciuto tramite apposite chiavi di autorizzazione il sistema, impermeabile altrimenti dall’esterno, fornisce risposte in tempo reale, abbattendo i tempi di verifica anche da parte degli enti preposti al controllo.

Potenzialmente un bengodi, in un ecosistema digitale in cui soggetti grandi e piccoli si sono mossi finora affidandosi a standard proprietari e difficilmente compatibili, che promette di automatizzare in modo certo e sicuro fasi importanti nel trattamento della merce come la tracciabilità della stessa, la gestione delle transazioni economiche, l’allocazione razionale dei mezzi, la certificazione dei controlli; fino all’applicazione dei cosiddetti “smart contract” basati sul principio causa-effetto in grado di ridurre al massimo la presenza di soggetti intermedi. 
Non è un caso che con l’eccezione del settore finanziario, entro il quale la blockchain nasce, sia proprio il comparto logistico quello in cui si prospettano i maggiori investimenti. In un mercato europeo in cui, secondo le previsioni, complessivamente le risorse per le nuove applicazioni passeranno dagli attuali 400 milioni di dollari a oltre 5 miliardi nei prossimi 5 anni.

Un ciclo efficiente, veloce e diretto, insomma, che presuppone, come ogni rivoluzione tecnologica, anche un adeguamento di prassi consolidate. Uno dei pregi della blockchain, ovvero l’immodificabilità di ciò che è registrato nei suoi blocchi, potrebbe tradursi in eccessiva rigidità quando calato nell’universo della contrattualistica. Il che potrebbe far nascere l’esigenza di nuove figure, altamente specializzate, in grado di tradurre un contratto in linguaggio di programmazione. 
Ma le criticità riguardano l’assetto stesso del mondo logistico e sono insite nella “filosofia” stessa che negli anni novanta ispirò gli sviluppatori di questa tecnologia: bypassare qualsiasi tipo di intervento istituzionale terzo nelle transazioni tra privati. 

Un rischio ben presente in un report dell’International Transport Forum che denuncia una serie di criticità tra cui le barriere all’ingresso nel mercato della logistica e la formazione di un mercato della gestione dei dati sui flussi logistici dominati da pochi soggetti, magari legati alle grandi alleanze oligopolistiche del trasporto marittimo. Considerando i grandi investimenti necessari per le nuove applicazione “si renderà necessario – sottolinea l’ITF – trovare il giusto equilibrio tra open standard e sistemi proprietari”.

Giovanni Grande
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