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OTTOBRE 2018 PAG. 64 - Le connessioni mondiali e l’Atlantico

Marcello Carmagnani. Einaudi

In un dibattito sulla competitività economica dove i concetti di connettività, dimensioni di scala, specializzazione territoriale acquistano un spazio sempre maggiore risulta utile tornare ad analizzare gli elementi che contribuirono all’emergere progressivo di una nuova centralità atlantica al principiare dell’era moderna.

Un processo plurisecolare, innestato su un gigantismo navale ante litteram, risalente più o meno alla metà del Trecento, e sullo sviluppo di nuove tecniche di navigazione. È a partire dal XV secolo che in effetti gli europei, sulla scorta della stagione delle grandi scoperte geografiche, cominciarono a sviluppare collegamenti stabili con Africa e America, attivando reti commerciali fondate dapprima sulla vendita degli schiavi e, in seguito, sull’estrazione dei metalli preziosi e lo scambio delle merci. Una rara congiunzione tra commercio, tecnica, conoscenza scientifica e industria che funzionò da circolo virtuoso; alimentando lo sviluppo di un nuovo paradigma economico basato su due elementi ancora fondamentali nel mondo contemporaneo: le rotte transoceaniche e l’organizzazione ai fini della massimizzazione del profitto economico dei territori collegati ai porti che trova la sua esemplificazione massima nel modello della piantagione e nel commercio triangolare.

 Un nuovo mondo atlantico, in contrapposizione alla più statica realtà mediterranea, che getta i semi del presente attraverso l’instaurazione di relazioni asimmetriche tra diverse aree del mondo. Lungo linee di connettività, favorite dalla libertà del commercio, che trasportarono, nella fase di avvio delle globalizzazione, non solo merci ma anche idee, pratiche e credenze dagli effetti rivoluzionari per gli assetti sociali che li ispirarono.


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