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LUGLIO 2018 PAG 64 - MARINA ITALIANA E GEOPOLITICA MONDIALE - Alessandro Mazzetti - Aracne


L’arco delle crisi che si estende dalla costa sud del Mediterraneo fino al Mar Nero, il neoisolazionismo americano, il tentativo egemonico cinese, l’inazione europea. La riapertura dei grandi giochi, dopo l’illusione post ’89 sulla fine della storia, alimenta un rinnovato dibattito sulla geopolitica. E sull’inevitabile implicazione, spesso banalizzata, ancor più spesso fraintesa, della difesa dell’interesse nazionale. Un discorso, tradizionalmente poco frequentato in Italia, che si è inspessito negli ultimi anni; una discussione sulle inedite forme assunte dalla “politica di potenza” cui si inscrive indirettamente anche l’opera di Alessandro Mazzetti, documentato excursus storico sul mutamento del “sea power”, strumento geopolitico per eccellenza, a cavallo tra XIX e XX secolo. 

La narrazione prende le mosse, non a caso, dall’apertura del Canale di Suez, che “non solo rese il mondo un po’ più piccolo ma cambiò definitivamente il ruolo del Mediterraneo che, divenendo il trait d’union tra Pacifico e Atlantico, assunse un’importanza oceanica”. Partendo da questa nuova centralità, nel cui quadro si inserisce anche la formazione dello stato italiano, i rapporti di forza marittimi tra potenze tradizionali come Gran Bretagna, Francia e Russia e potenze emergenti, Germania, Stati Uniti e Giappone, sono analizzati nella loro evoluzione alla luce dei complessi mutamenti economici, tecnologici, sociali e produttivi della seconda rivoluzione industriale. Verso un nuovo assetto del mondo che “viaggiava sui binari della diffidenza e del sospetto”. “La prudenza, paradossalmente, imponeva di possedere i nuovi ritrovati bellici al fine di far desistere eventuali nemici dai loro intenti di conquista”.

È sulla scorta di questa inesausta corsa agli armamenti, non interrotta dalle tragiche conseguenze della Prima guerra mondiale, che sono approfonditi i lavori della Conferenza sul Disarmo Navale di Washington del 1921-22. Tentativo estremo di disinnescare le tensioni irrisolte della pace di Versailles in una situazione in cui “l’Europa, che per secoli aveva dettato il ritmo politico del mondo, aveva ormai perso la sua leadership lasciando il testimone all’America e al promettente Giappone”.
Basandosi su documenti inediti, o pochissimo frequentati, la vicenda è ricostruita soprattutto dal punto di vista italiano. In un paese in cui “la cultura navale faticava ad esprimersi nella sua totalità facendo registrare una maggiore attenzione nazionale a questioni relative a tematiche terrestri” gli uomini della Regia Marina furono chiamati ad assolvere un ruolo importante di supporto alla diplomazia italiana. Non senza contrasti con la delegazione dei “politici”, in mancanza di un chiaro programma da seguire, i “tecnici” riuscirono ad ottenere “quasi inaspettatamente” la parità navale con la Francia inserendo l’Italia nel novero delle grandi potenze marittime. Risultato clamoroso, raggiunto anche grazie alla mediazione di una Gran Bretagna “interessata a creare un solido contrappeso alla volontà di espansione dei transalpini nel Mediterraneo” e ad alleggerire, senza derogare al tradizionale principio del Two Power Standard, la sua presenza nel bacino.

Una convergenza d’interessi strategici, quella riconosciuta dai vertici delle due marine, che di lì a poco sarà messa a dura prova, fino alla rottura negli anni immediatamente successivi, dall’invasione di Corfù e dalla sostituzione di quegli stessi “tecnici” (Acton, Rahon di Revel, tra gli altri) con personaggi più in linea con le scelte dell’incombete regime fascista.

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