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GIUGNO 2018 PAG.64 - L’Unione Europea e il Mediterraneo. Cruciani – Ridolfi. Franco Angeli




I lineamenti politici e storici del progetto europeo sono intrecciati con il Mediterraneo sin dalla nascita. Tanto che, a partire dalla firma dei Trattati di Roma, la stessa dimensione delle relazioni esterne della Comunità, almeno fino alla fine della Guerra Fredda, può essere fatta coincidere con i rapporti con i paesi della sponda Sud. Una relazione complessa che intreccia strettamente il processo d’integrazione del vecchio continente, le dinamiche della decolonizzazione, la ricerca di modelli ottimali di collaborazione politica (nell’oscillazione tra l’idea neo-coloniale di Eurafrica e più avanzate proposte di integrazione). Vicenda dalle alterne fortune che viene ricostruita puntualmente fino al fallimento della Conferenza di Barcellona, ultimo tentativo di costruzione di una coerente strategia euro mediterranea, e alla sostanziale paralisi di iniziativa politico-economica di oggi che favorisce l’inserimento in un quadro geopolitico sempre più destabilizzato di nuovi protagonisti come la Cina. 

Senza pretesa di completezza le principali tappe di questo percorso: gli accordi di associazione con la Grecia nel 1961 e con la Turchia nel 1963; i numerosi accordi bilaterali stipulati con tutti i partner della sponda Sud negli anni Sessanta; la promozione, con il vertice di Parigi del 1972, di una “politica globale mediterranea”; il dialogo euro-arabo, all’indomani dello shock petrolifero; la Convenzione di Lomè del 1975, che ridisegnava, dopo l’ingresso nella CEE della Gran Bretagna, la politica di cooperazione allo sviluppo allargandola, non senza tensioni, ai paesi ACP (Africa, Caraibi e Pacifico). “L’idea era di guardare il Mediterraneo non più come un microcosmo lacerato da una forte conflittualità, ostaggio degli equilibri della guerra fredda, ma come una regione, riaffermando la priorità dei legami tra l’Europa, l’Africa e il Mediterraneo, nel tentativo delle nazioni europee di garantirsi quei rifornimenti energetici, di vitale importanza per le proprie economie”.  

A cavallo tra gli anni Ottanta e Novanta, la svolta mancata. Prima lo spostamento del baricentro della Comunità verso Sud, con l’adesione di Spagna, Portogallo e Grecia; poi, con la caduta del muro di Berlino, il cambio di priorità dell’Ue che comincia a guardare all’espansione verso Est. È in questo contesto che Spagna, Italia e Francia, preoccupate di una marginalizzazione del bacino avanzano l’idea del partenariato, indicando espressamente “la creazione di un quadro di riferimento multilaterale, teso a superare la molteplicità degli accordi economici a carattere bilaterale”. 

Tre i pilastri, o “cesti”, della Conferenza di Barcellona (27-28 novembre 1995) che cerca di tradurre l’obiettivo: sicurezza e cooperazione politica, economia e finanza, affari socio-culturali e diritti umani. Un programma ambizioso che prevedeva, con la creazione di un’area di libero scambio, l’erogazione di ingenti risorse per mezzo del programma Meda I (1995-2000), che ha finanziato progetti per 3,4 miliardi, e il programma Meda II (2000-2005), per 5,3 miliardi, cui andavano aggiunti ulteriori 10 miliardi provenienti dalla BEI. Un fallimento su tutta la linea determinato da svariati fattori endogeni ed esogeni. Tra questi: l’insuccesso delle ricette economiche “neo-liberiste”, le resistenze della controparte per un’impostazione dei problemi troppo eurocentrica, il deterioramento del processo di pace in Medio Oriente, la “guerra al terrorismo”. 

Il Mediterraneo nella rappresentazione europea è così tornato ad essere “un luogo di frontiera destinato al controllo dei flussi migratori e a contenimento dell’Islam radicale, piuttosto che come spazio condiviso tra le due sponde”. All’idea di partenariato è stata affiancata la politica europea di vicinato (Pev) “offrendo ai paesi partecipanti la carota della partecipazione al mercato interno, secondo la formula del ‘tutto ma non l’adesione’ e prevedendo il ricorso alla condizionalità degli aiuti, come strumenti di pressione diplomatica”.
Un cambio di rotta che segna anche la parabola discendente dell’influenza europea nell’area. “In un contesto regionale profondamente trasformato, con attori molto dinamici che cercano di perseguire i propri obiettivi ed interessi, il ruolo e il potere di attrazione dell’Ue appaiono sempre più marginali e in declino, ponendo una serie di incognite sul futuro delle relazioni euro-mediterranee”. 

 Recensioni: giovanni.grande@portoeinterporto.it
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