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GIUGNO 2018 PAG. 24 - Porti: controllo pubblico e snellezza operativa







Un no secco alla tentazione di “privatizzare” la governance” portuale. Si invece all’adozione di modelli operativi “snelli”, basati sull’interoperabilità e indirizzati a garantire adeguati livelli di sicurezza lavorativa sulle banchine. Sono i punti cardini su cui Angopi ha incentrato, a Napoli (Porti: controllo pubblico e snellezza operativa), il tradizionale appuntamento con cui riunisce ogni anno rappresentanze politiche, amministrative e i soggetti che a vario titolo operano nell’ambito portuale. Ne è scaturito un dibattito che, nel momento più caldo della polemica sui migranti e sulle relative responsabilità dei paesi mediterranei nelle operazioni di soccorso, si è allargato anche alle questioni della competitività della flotta, delle sfide della digitalizzazione, di una possibile modifica dello statuto delle AdSP.

Cesare Guidi (Presidente Angopi). In un quadro caratterizzato da “ingenti investimenti derivanti da un ormai avviato progetto di costituzione di un nuovo aggregato geografico euro-asiatico” il tradizionale impianto normativo basato sul regime concessorio può risultare più che mai funzionale alla tutela del nostro interesse nazionale evitando le distorsioni del “modello Pireo”. “La prevista inalienabilità, incommerciabilità e inespropriabilità delle aree demaniali portuali e la conseguente possibilità di attribuire ai privati diritti di godimento sulle stesse solo attraverso atti di concessione rilasciati dalla competente Autorità, rappresenterà uno strumento di tutela, garantendo che soggetti privati possano gestire quelle aree solo svolgendo effettivamente un’attività che guardi agli interessi del porto e del sistema economico che su quel porto insiste”. Esigenza che va affiancata alla ricerca di una “snellezza operativa” che faccia recuperare competitività ai nostri porti. “La scelta dell’utente rispetto a un porto non dipende quasi mai dai costi dei servizi erogati nel suo ambito, bensì da altri determinanti fattori, quali la rapidità di entrata e uscita delle merci dal porto, l’efficienza delle infrastrutture retroportuali, o il network di collegamenti tra il porto e i centri di origine o destinazione finale della merce”. Se è la qualità delle infrastrutture materiali e immateriali a fare la differenza, diventa essenziale la capacità di ridimensionare “le procedure amministrative, oltre 100”, e i “soggetti interessati al loro svolgimento nei vari ambiti di competenza, oltre 20”. Il Piano Strategico Nazionale della Portualità e della Logistica (PSNPL) ha meritoriamente posto il tema della digitalizzazione quale fattore funzionale allo sviluppo del nostro settore, fissando l’obiettivo della definizione di un Modello Unico di Port Community System (MUPCS) nell’ambito della Piattaforma Logistica Nazionale (PLN). Tre i problemi da affrontare a livello normativo: mancanza di armonizzazione tra le diverse “single windows” nazionali; necessità che attraverso le “SW” vengano fatte transitare anche tutte quelle comunicazioni derivanti da norme nazionale o locali; mancanza di armonizzazione fra le “SW” nazionali che potrebbe essere superata attraverso l’applicazione di un software di interfaccia comune per lo scambio di informazioni da sistema a sistema, al fine di facilitare le segnalazioni e ridurre ulteriormente l’onere amministrativo.

Mario Mattioli (Presidente Confitarma). Tra le priorità del Paese c’è la necessità di intercettare più e meglio i flussi di traffico che attraversano il Mediterraneo. “A fronte di una crescita costante, la quantità di merci che si dirigono verso il Nord Europa è ancora troppo alta. Va affrontato quel gap logistico che secondo alcuni calcoli ammonta a 45-50 miliardi di mancato introito per le casse dello Stato”. Per raggiungere l’obiettivo c’è bisogno di un forte dialogo tra le parti e di una specializzazione del settore, soprattutto in direzione della sicurezza sul lavoro. Oltre alla rinuncia a misure come la Cocianchic che, paradossalmente, “vanno contro il marittimo italiano”. “Una norma che concederà un vantaggio competitivo alle flotte che non battono bandiera italiana”.

Rivendicazione per il ruolo della flotta mercantile italiana nella gestione complessiva dell’emergenza migranti: “assicuriamo costantemente il supporto logistico a tutte le operazioni di recupero”.
Riccardo Sabadini (Presidente S.A.P.I.R.). “Per evitare un calo dei livelli di sicurezza il ruolo del pubblico nel settore marittimo è indispensabile”. La parte che gli compete è quello di “favorire l’emergere della qualità delle prestazioni nell’attività portuale”. Nei prossimi anni la “blue economy” dovrà affrontare sfide importanti, a partire dall’adeguamento ambientale delle navi fino al cambio di paradigma rappresentato da evoluzioni tecnologiche come la guida autonoma: “solo un’impostazione pubblica e non economica delle AdSP potrà permettere una riflessione non impoverita sull’impatto complessivo dei porti sui territori”. “Gli strumenti legislativi ci sono: basta utilizzarli al meglio anche per perseguire la giusta iterazione con il settore privato”.

Francesco Mariani (Segretario Generale Assoporti). Il Piano Strategico Nazionale della Portualità e della Logistica come punto fermo per gli obiettivi da perseguire. “Se ogni ministro cambia impostazione sulle problematiche del settore si rischia una pericolosa indeterminatezza”. Garantire continuità negli indirizzi politici, dunque, e rifuggire “inutili dibattiti sulla trasformazione delle AdSP in Spa”. “Piuttosto andrebbe recuperato il rapporto con le amministrazioni cittadine, puntare a fare sistema sfruttando l’impostazione di una riforma che finalmente guarda fuori dai porti per favorire tutta la filiera logistica”. Sotto quest’aspetto la trasformazione della natura degli enti portuali potrebbe creare problemi inediti: “cosa si conferirebbe alle nuove Spa, il demanio? In caso di investimenti ricadrebbero nella disciplina sugli aiuti di stato? Le nuove società saranno scalabili?”.
Luigi Merlo (Confcommercio).

Nessuna preoccupazione circa i processi di mutamento e “frammentazione” del sistema associativo. “Tra gli effetti della riforma c’è anche la necessità di un nuovo modello di rappresentanza. Non più incentrato sulla categoria ma sui cluster”. Nasce, così, la necessità di creare luoghi di discussione “per fare sintesi prima di confrontarsi con la parte pubblica”. Pollice verso circa la trasformazione della natura giuridica delle AdSP. “Bisogna capire, invece,  se si può intervenire per rimuovere i porti italiani dall’elenco Istat delle amministrazioni pubbliche”. Una soluzione che potrebbe risolvere anche i recenti problemi di Bruxelles sul pagamento delle tasse. “Mai come oggi gli enti portuali hanno tante risorse pubbliche che non riescono a spendere. E’ un contesto nel quale il ministero dell’Economia vale più di quello dei Trasporti: l’Italia è l’unico paese europeo che ragiona ancora in termini di demanio.

Patrizia Scarchilli (Direzione Generale Autorità portuali MIT). “L’uscita dall’elenco Istat delle AdSP non serve”. Il sistema portuale italiano è oberato dalla burocrazia e “dall’incapacità dei direttori generali che non firmano gli atti, soprattutto per le questioni ambientali, per non assumersi responsabilità”. Inoltre, “traduciamo le direttive europee in norme più restrittive rispetto a quanto avviene negli altri Paesi. La riforma non è completa ma ha impresso una svolta positiva al sistema”. 
Giovanni Pettorino (Ammiraglio Ispettore Capo Corpo delle Capitanerie). Quattro anni di soccorsi in mare operati dalla Capitaneria di porto, per un totale di 4700 operazioni che hanno portato in salvo oltre 600 mila persone, in un’area di 1 milione e 100 mila chilometri quadrati di mare (metà circa della superficie totale del Mediterraneo) ben superiore a quella di competenza (485mila). “Le polemiche strumentali sui soccorsi ai migranti non ci riguardano: noi non abbiamo mai lasciato indietro nessuno”. Sul quadro normativo giudizio positivo. “E’ stata corretta la visione miope dei porti come entità territoriali che determinava la polverizzazione delle risorse. La legge mette finalmente a sistema l’attività portuale in un sistema più grande che è quello della logistica”.

Giovanni Grande
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