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Marzo 2018 PAG.64 - I sette peccati capitali dell’economia italiana - connettere l’ItalaTrasporti e logisticaper un Paese che cambia


I sette peccati capitali
dell’economia italiana

Carlo Cottarelli, Feltrinelli

Nell’epoca delle semplificazioni eccessive l’ex commissario alla revisione della spesa pubblica e attuale direttore dell’Osservatorio sui Conti Pubblici Italiani, Carlo Cottarelli, ha il merito di evidenziare la complessità dei problemi che affliggono l’economia italiana e, contro le ricette miracolose basate su un unico ingrediente, la loro inestricabile interrelazione. Partendo da un’analisi del “ventennio perso”, il periodo 1999-2016, durante il quale il Pil è cresciuto solo del 4 e mezzo per cento, una media dello 0,25 per cento all’anno (nel 1999 il reddito pro capite di un tedesco era solo del 5 per cento più alto di un italiano: oggi lo è del 25 per cento), individua i sette peccati capitali che penalizzano il nostro sistema economico. I primi sei (evasione fiscale, corruzione, burocrazia, lentezza della giustizia, crollo demografico, divario Nord-Sud) di lunga durata; il settimo, “la difficoltà a convivere con l’euro”, relativamente più recente e, “probabilmente, alla base del peggioramento delle nostre performance economiche”. “Per un insieme di rigidità di comportamenti e strutture non siamo stati capaci di adeguarci a vivere con una moneta comune al resto dell’Europa, perdendo competitività e potenzialità di crescita”. Venuta meno la rete di protezione della svalutazione monetaria, che assorbiva l’accumulo di ritardi in termini di produttività del lavoro, il Paese, per effetto del combinato disposto delle sue mancanze strutturali, si è infilato così nell’attuale cul de sac. Esclusa un’uscita dall’euro, soluzione che nel breve potrebbe garantire un recupero dei livelli di crescita e competitività, al prezzo però di un doloroso taglio dei salari, di una “tassa da inflazione” e da uno sconvolgimento nel sistema dei pagamenti, la soluzione starebbe in una riforma dell’economia che vada nella direzione della diminuzione “di tutti i costi che un’impresa deve affrontare”. Si ritorna qui ai sei peccati precedenti. “Se la pubblica amministrazione diventa più efficiente e i costi della burocrazia si riducono le imprese se ne avvantaggiano”. Discorso simile per la giustizia (l’incertezza sui valori dei contratti è un deterrente per gli investimenti) o l’evasione fiscale (fenomeno direttamente collegato al nanismo delle nostre aziende). Come agire, allora? Cottarelli non indica soluzioni da bacchetta magica. Insiste, però, su un elemento trasversale ai problemi, lo scarso capitale sociale degli italiani, da cui ripartire per una trasformazione innanzitutto culturale e sociale. “Non abbiamo molto tempo – avverte – prima che uno shock internazionale ci colpisca”. 


connettere l’ItalaTrasporti e logisticaper un Paese che cambia

AA.VV., Franco Angeli. 

Il primo di una serie di volumi di studio e ricerche a cura di RAM (Rete Autostrade Mediterranee) racconta cosa si è scelto di fare negli ultimi tre anni al Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti per il rilancio del comparto dei trasporti e della logistica. Un resoconto a più mani di una stagione di programmazione condotta in netta discontinuità con la Legge Obiettivo e incentrata sulla valorizzazione del settore come asset strategico del sistema produttivo nazionale. “Negli ultimi quindici anni il deficit principale che ha dovuto scontare il sistema del trasporto merci e della logistica in Italia, prima ancora che strutturale, digitale o amministrativo, è stato un deficit di visione: si è rinunciato all’idea di pianificare il proprio sviluppo in modo organico, a partire da un’idea condivisa di ciò che si vuole essere”. La strategia coordinata dal ministro Delrio, nel superamento di iniziative portate avanti in modo autonomo e spesso incoerente con il quadro di riferimento, ha guardato innanzitutto alle caratteristiche della rete trasportistica della penisola. “Non abbiamo voluto imitare le strategie di altri – spiega nella prefazione – ma trovare la nostra peculiare strada verso la modernità”. Un atteggiamento che ha pervaso, ad esempio, la discussione sul ruolo della portualità. Evitando lo stucchevole confronto con il “northern range” si è tenuto conto di una storia che è stata plasmata dalle attività di una borghesia mercantile e commerciale: il modello del “porto emporio” rispetto all’infrastruttura concepita e sviluppata come nodo logistico dell’economia reale. Ne è scaturita una riforma forse troppo timida nel tagliare i centri decisionali sul territorio ma più efficace per rilanciare una governance “sempre meno attrezzata per dialogare con i grandi players del mercato”. Tre in definitiva gli ambiti di sviluppo indicati come base per la nuova vision, “traccia del lavoro da fare nei prossimi anni per dotare il Paese di una nuova mobilità”: quello marittimo portuale (cura dell’acqua); quello ferroviario (cura del ferro); l’autotrasporto sostenibile. Da integrare e mettere in sinergia rispetto a una rimodulazione degli interventi articolata sulla rivisitazione delle tipologie di opere: le invarianti da completare, i progetti da rivedere e quelli da realizzare ex-novo secondo le regole del nuovo codice degli appalti e un dialogo più stretto con i territori di pertinenza.
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