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DIC 2017 PAG 49 - Uniformare le regole nel Golfo di Napoli



C’è un fenomeno di gigantismo navale, poco analizzato, che riguarda anche le unità da diporto. Il numero di imbarcazioni con tonnellaggio di stazza lorda rilevante è aumentato in modo esponenziale negli ultimi anni, comportando potenziali problematiche di sicurezza della navigazione a causa di un inaspettato cortocircuito normativo. “In un momento in cui nelle nostre acque navigano yacht più grandi di alcune navi cisterna che operano in porto è chiaro che la distinzione tra scali commerciali, dove per le movimentazioni vige l’obbligo dell’utilizzo dei servizi tecnico-nautici, e scali turistici, dove tali operazioni possono essere eseguite in autogestione, non riesce più a fotografare la realtà”. Un’incoerenza che preoccupa molto il Capo Pilota della Corporazione dei Piloti del Golfo di Napoli, Luigi Lucenteforte, tanto da farlo sbottare in una provocazione. “Potremmo mai privare gli aeroporti del controllore di torre e di avvicinamento, pur avendo i comandanti di tutti i velivoli ampie qualifiche professionali?”
In base a quali elementi lancia il suo allarme?
Parto da uno studio a campione sui sinistri marittimi condotto lo scorso luglio dalla Corporazione sui porti di Napoli, Castellammare di Stabia, Pozzuoli, Torre Annunziata e Sorrento e presentato sotto forma di “Relazione Tecnica” al MIT, all’Autorità Marittima e all’AdSP del Mar Tirreno Centrale. Ne emerge l’esigenza assoluta di uniformare le regole che disciplinano le movimentazioni nell’ambito del Golfo di Napoli e la presentazione di modello che potrebbe essere adottato anche a livello nazionale.
Da dove nasce la problematica?
C’è una discrepanza nella suddivisione tra porti commerciali e turistici relativamente alla obbligatorietà o meno dei servizi tecnico nautici che salta all’occhio anche dei comandanti. Se esco dal porto privato di Castellammare in autogestione per fare bunker nel porto di Napoli, qui sarò invece sottoposto all’obbligo di pilotaggio e di ormeggio. Un’incoerenza normativa che rende relativo il concetto di sicurezza e sminuisce il ruolo della figura, il pilota, appunto, individuato anche recentemente da due sentenze del Tar come punto di garanzia per la sicurezza della vita umana durante la navigazione e l’approdo.
Si potrebbe dire che in un porto come Napoli c’è un traffico maggiore.
Certo, ma a Castellammare, sempre per ritornare al nostro esempio, gli spazi sono angusti. Il cuore del problema sta proprio nel non riconoscere che qualsiasi tipo di manovra non può prescindere da una figura terza in grado di monitorare costantemente e coordinare la singola unità rispetto al traffico in entrata e in uscita. Pur bravo un comandante non ha mai una misura d’insieme. E mi creda nel Golfo di Napoli, specie nei periodi estivi diventa sempre più difficile districarsi.
Come la mettiamo con i costi?
Un altro falso problema. Se proponessimo il servizio gratis, quale sarebbe la risposta? In realtà, e la questione emerge chiaramente dalla nostra relazione tecnica, i sinistri marittimi vedono spesso una interconnessione strettissima tra errori, responsabilità e possibili misure precauzionali. Quando queste sono applicate a incidente avvenuto abbiamo già perso tutti. Ad ogni modo, se vogliamo quantizzare i costi in rapporto al valore intrinseco delle navi e in rapporto al valore stesso della vita umana in termini di equipaggi, esso è assolutamente marginale. E andrebbe comunque modulato a seconda del tipo di unità o di attività espletata.
Cosa propone?
È arrivato il momento di uniformare i regolamenti che con la distinzione scalo commerciale-scalo turistico riguardano l’obbligatorietà dei servizi tecnico-nautici. Alla luce della mia più che ventennale carriera mi corre l’obbligo morale di affermare che l’elemento chiave nella prevenzione dei sinistri risiede nella formazione e nella specializzazione. Il che significa elevate competenze, specifiche conoscenze, alta cognizione nella gestione sia delle prassi ordinarie sia dell’imprevisto. L’alternativa è abolire il servizio. Crede che sia conveniente in una realtà come il Golfo di Napoli?

Giovanni Grande

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