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DIC 2017 PAG 53 - Project cargo, un settore ancora “artigianale”



“La presenza sul posto è sempre necessaria. Non si tratta di un lavoro che puoi gestire da un ufficio o dallo schermo di un computer”. È questa una delle caratteristiche del project cargo. “Un’attività di nicchia che ha più a che fare con l’artigianato che con l’industria. Una specializzazione della filiera logistica che si acquista sul campo, passo dopo passo”. Antonino Russo, General Manager di Marimed, ci introduce ai segreti di questo particolare settore dei trasporti. 
In cosa consiste il core business di Marimed?
In riferimento al Sud Italia ci occupiamo solo ed esclusivamente di impiantistica. Tutto ciò che non può essere trasferito per mezzo di contenitori lo gestiamo come braccio operativo per conto di spedizionieri o grossi gruppi internazionali a Napoli, Salerno, Bari, Taranto, Crotone, Brindisi e Gioia Tauro. È una specializzazione che abbiamo ricavato negli anni e ci ha permesso una forte continuità lavorativa anche nei momenti di difficili della crisi.
Quali sono le caratteristiche del project cargo?
È necessaria una conoscenza approfondita della merce con cui hai a che fare. Non si tratta di un servizio standardizzato: bisogna capire come movimentare i prodotti e il modo per rizzarli a bordo della nave. Un discorso che riguarda anche i contratti di noleggio. È essenziale sapere dove e quando finiscono le responsabilità del caricatore e incominciano quelle dell’armatore. C’è un know how che si acquisisce negli anni, con una presenza continua in banchina e spesso anche in stiva. Ogni carico ha la sua esigenza particolare e noi garantiamo agli spedizionieri un valore aggiunto in termini di efficienza e sicurezza operativa.    
Che tipo di merce movimentate?
Collaboriamo con varie realtà in una serie di porti. A Napoli, ad esempio, esportiamo trasformatori di potenza con tagli da 40 a 330 tonnellate prodotti a Marcianise o bobine da 70 tonnellate provenienti già pronte o da assemblare direttamente sulla nave da Arco Felice. A Taranto invece movimentiamo pale eoliche. In generale serviamo imprese impegnate nel settore della componentistica o terzisti per grosse società d’ingegneria del Nord Italia. In pratica gestiamo tutte le attività una volta che il prodotto arriva in porto interfacciandoci con il responsabile logistico dell’export . 
Le infrastrutture necessarie per questo tipo di attività?
I porti con vocazione per il project cargo sono quelli che hanno a disposizione molto spazio come può essere il caso di Taranto e Brindisi. Qui si potrebbe anche prevedere un’attività di assemblaggio per i grandi manufatti. La situazione è più complicata con gli scali molto trafficati o con poche aree libere a disposizione, come nel caso di Salerno. Napoli, da questo punto di vista, vive una situazione molto particolare: c’è un problema di ottimizzazione delle superfici, con alcune zone sottoutilizzate e altre che soffrono di congestione. Una condizione determinata anche dall’illusione coltivata in passato di puntare tutto sul traffico container. 
Cosa intende?
Personalmente non credo che Napoli possa giocare il ruolo di hub nel mercato degli scatoloni. Per una questione di bacino d’utenza può ambire ad essere scalo di riferimento regionale, con una vocazione di tipo polifunzionale.
Anche puntando sul project cargo?
Perché no? Con lo sviluppo della nuova darsena i traffici containerizzati potrebbero migrare nell’area orientale liberando aree per lo sviluppo di questo settore. A quel punto di potrebbe anche pensare ad attrarre attività di assemblaggio per grande componentistica: sotto questo punto di vista le ZES potrebbero rappresentare una forte leva per accelerare e alimentare questo processo.

Giovanni Grande


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