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DIC 2017 PAG 42 - Bocche di Bonifacio preservare un bene di tutti


Nel novembre del 1992 Giancarlo Acciaro faceva parte di una folta delegazione ricevuta dagli allora ministri dei Trasporti e dell’Ambiente Giancarlo Tesini e Carlo Ripa di Meana. Motivo dell’incontro: la richiesta dell’interdizione dello Stretto di Bonifacio al transito di petroliere e navi cisterna con carichi a forte rischio di inquinamento. A distanza di un quarto di secolo molte cose sono cambiate. L’adozione del doppio scafo come misura di sicurezza per certi tipi di trasporto marittimo, solo per fare un esempio. O la decisione di Italia e Francia di vietare alle proprie navi l’attraversamento di un’area che, nel frattempo, è stata inserita dall’IMO nel ristrettissimo novero delle PSSA (Particurarly Sensitive Sea Area). Immutato invece l’impegno del Past President degli Agenti Marittimi della Sardegna a “preservare uno dei patrimoni più importanti della nostra terra e di tutto il Mediterraneo”. Obiettivo che lo vede reduce dalla seconda riunione tecnica di coordinamento “Navigazione marittima nello Stretto di Bonifacio” in cui si stanno discutendo gli strumenti più adatti per garantire il diritto riconosciuto alla libera navigazione e il necessario rispetto per l’ambiente.   
Da dove nasce questo impegno per la preservazione delle Bocche di Bonifacio?
Abbiamo il dovere morale di difendere il capitale strategico rappresentato dalla nostra costa. Non investire nell’ambiente, nella valorizzazione e difesa del territorio è illogico, significa precluderci la più valida alternativa di sviluppo su cui possiamo contare per il futuro. Sotto questo aspetto non può che preoccuparci il passaggio di migliaia di navi in una zona che in caso di malaugurato incidente metterebbe a rischio tutta la costa del Nord Sardegna e il Sud della Corsica.
Come agire per scongiurare quest’ipotesi? 
Con tutto il cluster marittimo e le istituzioni ci stiamo impegnando, tra l’altro, per allargare il più possibile il ricorso alla “misura associata di protezione” del pilotaggio raccomandata anche dall’IMO. Questo permetterebbe di passare ad un controllo attivo della navigazione. Il modello di riferimento potrebbe essere quello dello stretto di Messina dove si opera con il pilota a bordo o con assistenza in remoto. Certo per farlo sarà necessario approntare strutture di primo intervento in prossimità dello Stretto.
È un problema di costi? 
Piuttosto parlerei di opportunità legate ad una maggiore sicurezza. In questo mi conforta la grande disponibilità mostrata al tavolo tecnico dai rappresentanti degli armatori. Se si fa il raffronto con il disastro in termini economici, sociali e ambientali che si dovrebbe affrontare in caso di incidente l’aggravio per l’armatore risulta davvero marginale. Specie se si riuscisse a coinvolgere nel processo i P&I attraverso la formazione di meccanismi di assicurazione incentivanti. Ma è un lavoro che va fatto contestualmente alla scrittura delle regole, alla messa a punto delle strutture necessarie ad assicurare il servizio e al lavoro di sensibilizzazione che va fatto a tutti i livelli. D’altro canto, prima del divieto deciso da Italia e Francia l’Eni prevedeva nei contratti di noleggio con gli armatori la condizione di non attraversamento dello Stretto. Insomma, si può fare.
A chi spetterebbe la prima mossa? 
Il “pedaggio” per lo Stretto dovrebbe andare a finanziare direttamente le strutture di primo intervento, per evitare qualsiasi tipo di polemica. Credo che sotto questo aspetto la Regione debba assumersi la responsabilità di finanziare e supportare un progetto in cui coinvolgere successivamente anche i ministeri. Qui non si tratta di impedire alle navi di navigare. Ma di tenere sotto controllo chi non rispetta le regole, per difendere la nostra prima e più importante risorsa.   
Cosa proporrà invece Federagenti?
Stiamo lavorando affinché in occasione dell’Assemblea nazionale di Porto Cervo prevista a metà maggio siano presenti i vertici dell’IMO. Vogliamo sensibilizzarli sulla questione lanciando una vera e propria sfida culturale sulle tematiche della sostenibilità.

Giovanni Grande

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