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DICEMBRE 2020 PAG. 10 - Obiettivo armamento italiano: conversione green della flotta


 

Nel settore marittimo – uno dei più regolamentati a tutti i livelli - la competitività oggi si gioca in gran parte sul piano della semplificazione e dell’aggiornamento di norme e procedure ed anche sulla sostenibilità e la salvaguardia dell’ambiente.
Da questo punto di vista, la flotta italiana è un “marchio di qualità” internazionalmente riconosciuto, punto di forza del “Sistema Paese” basato su qualità del trasporto di ogni tipo di merce, tutela del lavoro marittimo, salvaguardia della vita umana e dell’ambiente.


Se è vero che il 90% degli oggetti che ci circondano ha viaggiato via mare, e che il trasporto marittimo genera un inevitabile impatto ambientale, non bisogna dimenticare che la maggior parte dell’inquinamento dei nostri mari proviene da terra. Lo shipping è infatti la modalità di trasporto più sostenibile e rappresenta uno strumento potente di contrasto al cambiamento climatico. Basti pensare alle autostrade del mare che riducono sensibilmente i costi esterni prodotti dal “tutto strada”. Stiamo parlando di oltre 1,5 milioni di veicoli pesanti e circa 40 milioni di tonnellate di merci. Vuol dire oltre 1,2 milioni di tonnellate di CO2 non emesse in atmosfera grazie all’intermodalità. 


Fin dagli anni ‘90, quando l’intera flotta di navi petroliere è stata rinnovata, l’armamento italiano persegue l’obiettivo di riconvertire la flotta mercantile italiana in chiave ambientale ed innovativa ed è in prima fila nel percorso che tende alla decarbonizzazione di tutte le attività industriali, con ingenti investimenti in tecnologie innovative e impiego di combustibili meno dannosi per l’ambiente. Cito solo l’alimentazione a batterie con zero emissioni della nave in porto, l’utilizzo del GNL e l’installazione di scrubber.


L’impegno nella cosiddetta “rivoluzione verde” consente, in particolare in alcuni settori (ro/ro, crociere, chimichiere, navi specializzate) di mantenere la flotta di bandiera ai vertici mondiali assicurando i più alti standard ambientali e di qualità. Per definire un piano di intervento che faciliti e acceleri il processo di rinnovamento della flotta, occorre coinvolgere la cantieristica italiana, leader mondiale in alcuni comparti ad alto valore individuando anche strumenti finanziari necessari.
Lo shipping mondiale è da tempo impegnato ad abbattere le emissioni di Co2: nel decennio 2008-2018, il settore ha ridotto di quasi il 20% le emissioni di CO2; dal 1° gennaio 2020, il tenore di zolfo nel combustibile per uso marittimo è stato ridotto di ben sette volte in ambito globale (dal 3,5 allo 0,5%), accelerando anche la riduzione delle emissioni dei cosiddetti SOx. L’IMO prevede, entro il 2050, la riduzione del 50% delle emissioni di gas serra rispetto al 2008. 


Con previsioni di crescita dei volumi di merci movimentati via mare e della flotta, si tratta di una riduzione di circa il 75% per ogni nave. È un obiettivo ambizioso al quale vogliamo certamente concorrere ma serve un’azione condivisa a livello internazionale poiché singoli interventi nazionali danneggerebbero il trasporto marittimo e, quindi, l’economia del mondo.
Sono allo studio diverse opzioni per facilitare la decarbonizzazione del trasporto marittimo e raggiungere gli obiettivi di riduzione dei gas a effetto serra stabiliti dall’IMO, dall’utilizzo di LNG quale “soluzione transitoria” all’ammoniaca e idrogeno, batterie sempre più capaci e lo sviluppo delle relative tecnologie per alimentare la flotta mondiale.


Ma, attualmente tali combustibili non sono disponibili nelle quantità necessarie per giungere alla decarbonizzazione. A fronte dei potenziali carburanti e tecnologie a zero emissioni di Co2, la riduzione richiesta dalla comunità internazionale e dall’industria necessitano di un’enorme attività di ricerca e sviluppo prima che questi possano diventare opzioni praticabili. Emblematico il caso del GNL: le unità avanzate che già lo utilizzano non possono ancora rifornirsi nei porti italiani per mancanza di un’efficiente catena di distribuzione, con la recente eccezione di La Spezia. Occorre una strategia che garantisca l’identificazione di solide filiere di approvvigionamento che consentano il ricorso a carburanti avanzati e lo sviluppo delle infrastrutture necessarie alla distribuzione e bunkeraggio del GNL, e questo vale anche per i combustibili del futuro.


Viene definito un “iceberg finanziario” per lo shipping mondiale, la pressione per regolare le emissioni che si sta attualmente muovendo più velocemente della capacità delle catene di approvvigionamento di tenere il passo. Senza innovazione e un massiccio aumento della ricerca e dello sviluppo, c’è un rischio significativo di attività bloccate che avranno un impatto su Stati, comunità finanziaria e industria marittima.


Le risorse finanziarie private non sono sufficienti a sostenere da sole ricerca e innovazione, per questo lo shipping mondiale ha proposto un programma di R&S da 5 miliardi di dollari, supervisionato dall’IMO e finanziato con un contributo di 2 dollari per tonnellata di carburante per mare consumato. Il nostro è un settore considerato “hard to abate” e quindi, pur lavorando intensamente nella ricerca e nello sviluppo di soluzioni “carbon free”, abbiamo bisogno sia di investimenti consistenti per potenziare la ricerca e lo sviluppo di nuove tecnologie da rendere poi adottabili, sia di una forte governance e volontà politica in un quadro giuridico certo che accompagni la transizione verso la totale decarbonizzazione dello shipping.
L’importante è che le associazioni degli stakeholder del sistema marittimo lavorino in sinergia dialogando tra loro. È importante poi evitare frammentazioni: uno più uno può anche fare zero ed il mio monito è di non parcellizzarsi perché avere tante voci che difendono gli stessi interessi porta solo ad una perdita di rappresentatività a scapito degli operatori che sono alla base del lavoro quotidiano delle associazioni.

Mario Mattioli
Presidente di Confitarma

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