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MARZO 2020 PAG. 13 - Assiterminal: tra mille difficoltà alimentiamo il sistema Paese







«Il problema principale è la mancanza di una prospettiva. Non abbiamo idea di quando usciremo da questa situazione e in che condizioni. Si vive nell’incertezza, sia a livello lavorativo sia personale».
Anche per Alessandro Ferrari, segretario generale di Assiterminal, la vita al tempo del Coronavirus rimane dilatata in una sorta di limbo, tra l’emergenza quotidiana, con i terminal e le attività che tra mille difficoltà continuano ad alimentare il sistema Paese, e la necessità di guardare tra le nebbie del prossimo futuro, quando bisognerà intervenire per superare i danni di una marea (sotto forma di recessione economica) i cui danni non sono ancora pienamente quantificabili.

Come stanno andando i traffici nei terminal italiani?
La dimensione esatta del momento che viviamo è dato dal settore dei passeggeri: completamente fermo. E non mi riferisco solo alle crociere, sospese dalle compagnie. L’attività dei traghetti procede a singhiozzo, con volumi ridotti. La maggior parte del personale è in cassa integrazione, i conti economici peggiorano, non si può nè programmare né pianificare, nemmeno nel breve termine.

Per le merci?
Cominciamo a registrare una sostenuta contrazione dei traffici, in relazione temporale con la chiusura dell’apparato produttivo cinese. Detto questo, i nostri porti sono aperti e i terminal continuano ad operare con elementi di forte stress a causa della dilatazione dei tempi. Quando arriva la merce è inevitabile la formazione di congestione a causa delle procedure inusuali dettate per garantire la massima sicurezza per i lavoratori. Questo ovviamente si ripercuote sui tempi di consegna e sull’andamento in generale della nostra economia.

La risposta del sistema alle esigenza di sicurezza?
La crisi pandemica è arrivata assolutamente inaspettata ed è per questo che, a partire dalle regioni, fino alle AdSP, ognuno ha preso le sue misure senza un preciso piano di coordinamento. Sotto questo aspetto trovo personalmente lodevole l’impostazione del protocollo presentato a metà mese da Confindustria per definire linee guida specifiche per il settore. E’ uno sforzo del mondo produttivo per trovare insieme alle rappresentanze dei lavoratori un minimo comun denominatore nelle risposte. A questo principio è ispirata la nostra interlocuzione con il MIT per arrivare ad un protocollo omogeneo per tutto il settore: il sistema portuale non può adottare misure di sicurezza differenti su un tema così importante.  

Come ha reagito il cluster all’emergenza?
Credo che sia stato dato un bel segnale di maturità. Se un insegnamento si può trarre da questi giorni è che le divisioni non pagano. Tutte le associazioni della filiera hanno un obiettivo comune, il rilancio del paese attraverso le sue filiere produttive. Se si lavora bene insieme allora possiamo farcela davvero.

Le misure prese dal governo per sostenere la portualità? 
La decisione presa sui canoni portuali è un buon punto di partenza: viene riconosciuta la nostra strategicità. Allo stesso tempo, però, la sospensione della riscossione per quattro mesi è solo un palliativo. Se i terminal rimangono fermi, non producono e non riescono a reperire liquidità, dove possono attingere le risorse necessarie per pagare? L’ideale sarebbe un azzeramento temporaneo dei canoni con una compensazione per le AdSP per i mancati introiti.

Altre misure?
Lo sportello doganale, senza nessun dubbio. Nell’affrontare la sua onda lunga questa crisi potrebbe essere l’occasione per accelerare l’informatizzazione delle procedure. Apriamolo domani, rendiamo più semplice l’operatività. Tra l’altro, oltre a rendere più efficace le procedure ridurrebbe anche il contatto tra gli operatori, aiutando a combattere la diffusione del virus.
                                                                                                                        Giovanni Grande
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